recensione, Romanzo storico

“Paolo e Francesca” di Matteo Strukul

“Perché Francesca, ne era certo, rappresentava per lui un pericolo. E con la sua avvenenza, l’avrebbe portato all’Inferno.”

Ravenna, seconda metà del Duecento. Il guelfo Guido da Polenta, finalmente, riesce a sconfiggere i suoi acerrimi rivali, i Traversari e, con un colpo di mano, conquista Ravenna, divenendone podestà. Determinante nella vittoria, è l’aiuto della cavalleria di Giovanni Malatesta, figlio di Malatesta da Verucchio, signore di Rimini. E Giovanni, il suo ruolo in quella vittoria, vuole farlo valere. Non vuole terre né denari. Solo una cosa ha in mente: la bella figlia del da Polenta, la giovane Francesca. Come può Guido rifiutare un tale partito per la sua terzogenita? Ben disposta ad assecondare il volere di quel padre al quale è così tanto legata, Francesca sposa Giovanni per procura. Al suo posto, alla celebrazione presenzia il bellissimo fratello dello sposo, Paolo Malatesta.

Ha inizio così la vicenda di uno dei più celebri amori della Storia, la cui memoria è arrivata fino a noi grazie a Dante Alighieri. L’amore imperituro tra Paolo e Francesca, celebrato nel nuovo romanzo di Matteo Strukul, edito da Nord Sud Edizioni.

Una fanciulla forte e fiera, istruita, coraggiosa eppure avveduta. Un amore traditore, nato per caso ed esploso per passione. Due anime impegnate, ma incapaci di sottrarsi l’una all’altra; due cuori incatenati da un beffardo incantesimo d’amore.
Francesca è indipendente, intelligente e lungimirante, colta e coraggiosa, consapevole del suo ruolo nel mondo degli uomini, vive il suo matrimonio cercando di rinnegare il sentimento che prova per Paolo. Paolo, cavaliere senza macchia, è pronto a difendere a fil di spada la donna che ama oltre ogni ragionevole convenienza, brama di una passione malcelata, che lo divora fin nel profondo. Due giovani che hanno creduto di poter ingannare la mentalità del loro tempo e le insidie di una corte. Due giovani, però, che hanno avuto l’audacia e la sfrontatezza di avventarsi contro il destino avverso. Due anime affini e complementari, due corpi e un solo, unico cuore.
Eppure, ogni corte, grande o piccola che sia, pullula di pericoli, invidie, gelosie, spie. Soprattutto per una donna forte e indipendente, con un grado di istruzione che fa paura ha chi quell’istruzione non ce l’ha. E che segna, in modo ineluttabile, la vita della giovane Francesca.

Nel narrare questo amore, Strukul ci porta a comprendere la mentalità dell’uomo medievale, i suoi valori e le sue consuetudini. Un viaggio che permette al lettore di provare un briciolo di empatia con Giovanni Malatesta. Quello che brucia in lui non è tanto il tradimento della moglie, quanto quello dell’amato fratello, la ferita nell’orgoglio e nella dignità, il legame di sangue reciso. Giovanni dall’animo brutale e guerriero, provato dalla vita, che lo ha menomato nel fisico inasprendone il cuore. Roso da un amore non corrisposto, che colma con l’ira e con il distacco il suo senso di inferiorità nei confronti di una moglie che troppo è per lui.

Paolo e Francesca tornano a vivere tra le pagine di questo romanzo emozionante e struggente, denso di sentimenti e di Storia. La prosa fluida è così romantica da dare l’impressione di leggere uno dei manoscritti cavallereschi che tanto amava la protagonista. Il modo in cui Strukul dipinge le scene è poetico, delicato e potente allo stesso tempo e, a ogni pagina, sorprende come riesca a creare immagini sublimi e precise. Il modo in cui gioca con le parole è magistrale.

“Nei suoi occhi, sospettosi per natura, albergava anche la cupidigia più fine, depositata sul fondo acquoso delle iridi come sabbia, pronta a intorbidire lo sguardo non appena qualcuno l’avesse agitata.”

“Amor, c’ha nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte che, come vedi, ancor non m’abbandona” diceva Dante nel V canto dell’Inferno. Un amore che non abbandona Francesca nemmeno tra le spire della dannazione. È proprio quello che Matteo Strukul ci regala in questo romanzo. Un sentimento così forte da vincere la morte e la paura, che non abbandona mai, nemmeno per un solo istante, e resta vivo fino alla fine i due giovani amanti.

“Per un’ultima volta voleva abbandonarsi a lui e lasciarsi amare in quel modo tutto suo, come se si fosse trattato della fine del mondo. Come se non esistesse un domani. Come se quel momento fosse l’ultimo rimasto al genere umano e loro rappresentassero due anime sopravvissute troppo a lungo, due creature che avevano rubato il filo delle parche.”

Paolo e Francesca” è un romanzo che celebra l’amore, quello che divora il cuore, che brucia l’anima. Quello rinnegato, osteggiato, ma impossibile da estinguere. E, pur conoscendo a fondo la storia di Paolo e Francesca, è un libro che si divora.

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recensione, Romanzo storico

“Quindici secondi per volta” di Camillo Bignotti

“Non è possibile giudicare le persone dalla divisa. A volte la indossano perché ci credono, altre sono costretti, ed altre ancora semplicemente gli conviene.”

Varese, 1944. Dopo l’armistizio del settembre 1943, la situazione in Italia è confusa. La nazione è spaccata in due: il sud è controllato degli americani, mentre al nord, seppur con meno convinzione, spadroneggiano i nazisti, aiutati dai fascisti. Varese non ha ancora sperimentato in prima persona i bombardamenti nemici. Fino a quel primo aprile. È in questo momento che i cittadini vengono sorpresi per la prima volta dalle bombe che bruciano la città. Per la prima volta, l’allarme suona a ragion veduta e i quindici secondi che intervallano il fischio di una sirena da quello successivo si fanno più interminabili che mai. Uomini, donne, bambini e anziani vengono sorpresi dal fragore delle detonazioni che danneggiano la città, già flagellata dalle conseguenze economiche di anni di guerra. Camillo Bignotti, nel romanzo “Quindici secondi per volta. Amore e morte al Palace Hotel” racconta l’intreccio delle vicende di alcuni di loro. Una zia con due nipotini, due detenuti, un reduce della Grande Guerra e altri personaggi si confrontano con la paura e l’incertezza. Quei quindici secondi che scandiscono la loro vita, quei fischi che ormai sono divenuti una costante alla quale non riescono ad abituarsi.

L’autore ci regala, così, uno scorcio della Seconda Guerra Mondiale vissuta in città, della quale ha saputo restituirci l’atmosfera grazie a un’ambientazione curata e una ricostruzione del contesto storico precisa. Il coprifuoco, i razionamenti, i partigiani, i rifugi antiaerei, le proibizioni… Tutto riemerge in queste pagine. Anche la prosa risulta adeguata all’epoca narrata. La narrazione è molto scorrevole, grazie anche ai capitoli brevi. La caratterizzazione dei personaggi è ben fatta. Tuttavia, la presenza di un coro di almeno tredici voci distinte crea un po’ di confusione, che rischia di rendere un po’ fumosa la trama.

Quindici secondi per volta. Amore e morte al Palace Hotel” è un romanzo che racconta la Guerra, la Resistenza e le vicende umane in uno dei periodi più difficili della Storia.

recensione, Romanzo storico

“Il cavaliere del giglio” di Carla Maria Russo

“La mattina successiva, all’alba, Farinata degli Uberti confermò ai capitani dei sesti il piano di battaglia e le disposizioni comunicate la sera precedente. Scambiò, com’era loro abitudine prima di un combattimento, un ultimo cenno di saluto con Neri, come reciproco augurio di buona fortuna e addio, quindi passò in rassegna l’esercito schierato in ordine di battaglia. Giunto di fronte al gonfalone della città, si inchinò e ne baciò un lembo. Poi, con voce alta e sicura, salutò gli uomini prima del combattimento. «Soldati! Noi siamo il popolo della gloriosa Firenze. Oggi e sempre, mostriamoci degni di questo onore». I soldati, sguainata la spada e sollevatala al cielo, risposero al capitano levando all’unisono il grido di guerra dell’esercito del Giglio: «San Giovanni!». Tutta la valle ne risuonò. Gli stessi senesi, asserragliati dentro le mura, lo udirono con raggelante chiarezza.”

È il 1216 quando il racconto de “Il cavaliere del giglio” ha inizio. Nella Firenze dei guelfi e dei ghibellini, Carla Maria Russo ci racconta la vita di un uomo straordinario, un cavaliere valoroso, Farinata degli Uberti. Firenze è governata dai guelfi, fedeli a papa Innocenzo III, ai quali si oppone il partito ghibellino, che supporta l’imperatore Federico II. Ha dodici anni, Farinata, ultimo figlio di una delle più importanti famiglie ghibelline di Firenze, ma già mostra il carattere che farà di lui uno dei più gloriosi cavalieri della città. Iniziato alla carriera militare in giovanissima età, Farinata dimostra di un coraggio e un’abilità senza pari. Bellissimo, gentile, leale e dal cuore nobile, prudente ma audace, umile ma autorevole, astuto e intelligente. Un soldato dall’impareggiabile valore militare, dalla grande rettitudine morale e dal forte senso dell’onore. Un capitano vittorioso con un’indomabile fierezza e un immenso senso dell’onore, caratterizzato dallo sconfinato amore per la patria.

“Il capitano Farinata non si sarebbe mai tenuto al di fuori della mischia, limitandosi a seguire l’azione dalla cima del colle più vicino: avrebbe condiviso con i suoi commilitoni ogni istante della battaglia e combattuto in prima fila, davanti a tutti. Per sapere cosa fare, bastava seguirlo.”

Con la sua prosa impeccabile e coinvolgente, l’autrice ci porta all’origine della faida tra le fazioni guelfa e ghibellina, accompagnandoci nelle guerre e nelle battaglie, mostrandoci in modo chiaro e preciso questi scontri. Un torto subito, un matrimonio per riparare all’errore, una promessa infranta, un omicidio d’onore: questi sono gli ingredienti che trascinano Firenze nel vortice delle lotte tra fazioni opposte. Carla Maria Russo ci mostra come da una faida tra famiglie rivali si scatena una guerra tra schieramenti all’interno della città e quanto questa divisione si rifletta anche sulle altre città. L’impero contro il papato: guelfi e ghibellini, fedeli sostenitori di papi e imperatore, in precario equilibrio, sempre a un passo dalla guerra per la lealtà a un’entità superiore. Come su una bilancia, in cui la tensione aumenta quando un piatto si alza in favore dell’altro; ciechi obbedienti, sordi alle ragioni della pace, uomini d’onore senza timori, solo la prevalenza della fazione di appartenenza ha importanza. Casati in lotta, faide intestine che offrono il fianco ai nemici esterni; lotte tra singole famiglie che degenerano in guerre tra fazioni avverse. Una città sempre sull’orlo della guerra civile, che scoppia a tratti, portando distruzione e miseria; una popolazione che subisce le conseguenze delle azioni di uomini incapaci di agire per il bene della gloriosa Firenze.

Fondamentale nella vita del giovane cavaliere è il ruolo del grandioso nonno, Schiatta degli Uberti. “Abbiamo un debito verso gli antenati che ci hanno consegnato un nome onorato di cui andare fieri. E un dovere verso i posteri: non infangarlo e consegnarlo a loro intatto e ancora più grande”. Questo gli ha sempre ripetuto nonno Schiatta e di questo motto Farinata ne ha fatto una ragione di vita, insieme alla ferrea volontà di anteporre il bene di Firenze all’orgoglio e al tornaconto personale. Fedeltà all’Impero e a Firenze, all’Aquila e al Giglio, due fedi immensamente profonde nell’animo di Farinata. Così come è importante il bellissimo rapporto con il fratello maggiore Neri, che tanto ricorda quello tra altri due straordinari esponenti della politica fiorentina: Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Due giovani belli ed eroici, modelli di virtù cavalleresche, che sono braccio e cuore l’uno dell’altro, la cui nobiltà dell’animo è pari a quella del loro lignaggio. “Tra di noi deve valere il patto di sempre. Se uno dei due dovesse cadere nella trappola, l’altro deve salvarsi.” Uniti da un legame forte, fatto di sangue, onore e cuore. Troviamo poi, il commovente amore tra Neri degli Uberti e Gemma di Ranieri Zingane dei Buondelmonti: un ghibellino e una guelfa, uniti dal cuore ma divisi dall’onore della famiglia.

Tanta Storia, in questo romanzo, riportata con precisione e competenza, ma anche molti sentimenti ed emozioni, come solo la penna di Carla Maria Russo riesce a restituirci, con quel suo modo di raccontare forte e dolce allo stesso tempo, dal sapore di una novella narrata da un cantastorie.

Un romanzo intenso e appassionante, oltreché istruttivo, che permette al lettore di calarsi nella mentalità dell’uomo medievale e di comprendere i meccanismi della rivalità tra le due fazioni politiche, mostrandoci una parte della storia di Firenze. Tra assedi, battaglie, amori, congiure e tradimenti “Il cavaliere del giglio” è un libro che dovrebbe essere letto a scuola.

P.s. Se ne avete la possibilità, leggetelo ascoltando l’intero album “I Medici” di Paolo Buonvino. È una colonna sonora perfetta per questo libro denso di Storia.

recensione, Romanzo storico

“Il fermaglio di perla” di Antonio Forcellino

Il Fermaglio di perla” di Antonio Forcellino, edito da HarperCollins, è il terzo capitolo della saga “Il secolo dei giganti” ambientata nel Rinascimento. In questo volume, l’autore, basandosi sulle “Storie fiorentine” e sulla “Storia d’Italia” di Guicciardini, ripercorre gli avvenimenti che segnarono l’Europa tra il 1519 e il 1549.

E così, dalla morte di Raffaello, passando per il sacco di Roma e il succedersi di quattro papi, nonché lo scisma della chiesa inglese, Martin Lutero e il concilio di Trento, l’autore ci accompagna verso il tramonto di un’epoca straordinaria. L’Europa è al centro della guerra tra Farancesco I e Carlo V ed è nelle mire insistenti dell’imperatore ottomano Solimano. Un periodo di grande instabilità e forti incertezze, un periodo in cui la precarietà regna e la pace è solo un lontano ricordo. L’Europa è allo sbando, “in preda alle convulsioni e alle manovre più infami”, terreno fertile per il forte e determinato Solimano.
Tra i biechi giochi di potere, le traballanti alleanze, le forzature e gli albori di una nuova inquisizione romana, vediamo scorrere questi trent’anni del Cinquecento in cui l’Occidente è al centro della lotta tra Francia e Impero e la Chiesa di Roma è nel tritacarne della riforma. I luterani, gli spirituali, gli anglicani… Il mondo sembra volersi affrancare dell’immoralità della Chiesa, prestando il fianco ai turchi che mirano alla conversione di tutti i cristiani.
L’unica costante è l’occhio stanco di Michelangelo Buonarroti, l’artista che ha vissuto tutto questo e la cui presenza sembra volerci ricordare i fasti del Rinascimento.
E in questo mondo che cade a pezzi emergono, come lumi nella notte, donne potenti e audaci, come Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga e donne avide di potere come Roxane, l’amata moglie di Solimano. Donne che contrastano con uomini che hanno come unico scopo la difesa degli interessi dinastici, pronti a tutto pur di portare prestigio alla propria famiglia. Uomini incapaci di agire per il bene, ma abili solo a promuovere gli interessi di figli e nipoti, anche quando si dimostrano ignobili.

Con uno stile semplice, in un contesto storico ricreato con precisione e competenza, tra cardinali, principi, artisti, spie e nobildonne, Forcellino ci trasporta nel Rinascimento, presentandoci personaggi come Alessandro Farnese, Gian Pietro Carafa, Clemente VII, Eleonora Gonzaga e tantissimi altri, e facendoci vivere ogni avvenimento come se fossimo presenti in quel momento storico. In particolare, colpisce molto il modo in cui mostra la nascita delle opere, come la Sagrestia Nuova della chiesa di San Lorenzo a Firenze, a opera di Michelangelo. Sembra quasi di essere accanto all’artista mentre crea, pensa, dubita…

Il secolo dei giganti” è una delle migliori saghe ambientate nel Rinascimento, in cui la competenza storica e l’abilità narrativa si mescolano donandoci un mezzo efficace per un grandioso viaggio nel tempo.

recensione, Romanzo storico

“La saga dei Borgia. Fine di una dinastia” di Alex Connor

Roma, 1497. L’ultimo capitolo della saga di Alex Connor dedicata ai Borgia, “La saga di Borgia. Fine di una dinastia”, edito da Newton Compton Editori, prende avvio dalla morte del primogenito di papa Alessandro VI, Juan Borgia. Il papa è distrutto dalla perdita e i suoi nemici sono pronti ad approfittare della situazione. Carlo VIII è morto e sul trono di Francia siede Luigi XII, che vuole Milano e Napoli. Gli equilibri politici sono cambiati, così come gli assetti e le mire della famiglia Borgia. E, soprattutto, di Cesare.

In questo ultimo atto della storia dei Borgia, infatti, assistiamo all’ascesa di Cesare, la sua definitiva evoluzione nel temibile condottiero che la Storia ricorda. Spogliato della veste cardinalizia e rivestito dell’armatura del comandante, il vero io di Cesare esplode, lasciando spazio soltanto alla sua sconfinata e pericolosa ambizione. Nel primo volume abbiamo assistito all’educazione del giovane Borgia a perseguire i fini della famiglia con ogni mezzo, nel secondo alla gelosia nei confronti del fratello maggiore investito della carica che egli voleva per sé, nonché all’estrema insofferenza per il suo ruolo all’interno della Chiesa. In questo ultimo volume, Cesare, finalmente libero dalle briglie che lo tenevano soggiogato e fomentato dall’educazione e dalle ingiustizie del passato, mostra la sua vera natura.

“«E io sono Cesare Borgia, destinato a diventare duca di Romagna», rispose egli con ferocia. «E, se per raggiungere i miei fini dovrò vendere Napoli ai francesi come una puttana, lo farò».”

Un’evoluzione che gli costa il deterioramento dell’unico rapporto umano costante, quello con la sorella Lucrezia, e la nascita dei sospetti e della paura di Rodrigo nei suoi confronti. Ed ecco allora, ora più che mai, il Cesare aggressivo, arrogante, determinato, dal coraggio sconsiderato, quasi diabolico, e dall’ambizione frenetica; selvaggio, lussurioso e crudele. “Io non ho mai creduto in niente, se non in me stesso…” Una deflagrazione che fa tremare e confondere i confini di potere tra lui e papa Alessandro VI.

“«Siamo noi che comandiamo qui!», ruggì il pontefice con voce stentorea. «Devi obbedirci. Devi obbedirci senza fare domande, Cesare. Noi non ci inchineremo di fronte a te, è la tua volontà che si piegherà a noi! noi siamo il papa!». Furibondo, Rodrigo prese un bicchiere di vino e lo scagliò dall’altra parte della stanza; il calice si infranse contro una parete lontana sotto gli occhi del Burcardo, che assisteva intimorito alla rabbia del pontefice. Le guance di Rodrigo erano livide, la fronte imperlata di sudore, le vene sulle tempie gli si erano gonfiate, e la sua collera era terrificante, quando si voltò verso suo figlio. «Vattene!». Indicò la porta. «Vattene, Cesare, o non risponderemo delle nostre azioni».”

Uno sviluppo della sua personalità che, tra le fetide segrete di Castel Sant’Angelo, le decorate stanze vaticane e i sanguinolenti campi di battaglia, lo conduce verso la sua parabola discendente. Tuttavia, la Connor ci mostra come il lato umano, che Cesare nasconde e che si esprime nei confronti di Taddea di Becco (personaggio di fantasia) e di Lucrezia, combatta contro l’animo distruttore. Infatti, uno dei pregi di questa trilogia risiede nel lavoro fatto dall’autrice per superare i pregiudizi esistenti nei confronti di questa famiglia per restituirci personaggi storici nella loro interezza. In questo intento riesce grazie alla perfetta gestione di due aspetti. Innanzitutto, la caratterizzazione a tutto tondo dei personaggi. Rimanendo fedele alla storiografia, interpreta e restituisce lo spirito di ognuno di loro, trasmettendo al lettore la sensazione di poter vedere queste persone.

“Il cardinale appoggiò la schiena al sedile della carrozza, con le mani infilate nelle maniche della veste cardinalizia; i palmi gli prudevano, e le dita desideravano stringere la tiara papale.”

E, tra questi personaggi, troviamo anche il diplomatico e scaltro Niccolò Macchiavelli, dalla memoria prodigiosa e dall’intelligenza eccezionale, il cardinale Giuliano della Rovere e l’indomita e temeraria Caterina Sforza. In secondo luogo, i dialoghi sublimi, con battute perfettamente centrate per ogni personaggio e un linguaggio “contemporaneo” riadattato al Rinascimento.

“«Vi sfido Borgia!», gli gridò. «Questa è la mia fortezza, e nessun bastardo me la porterà via». Il duca replicò con voce ammonitrice. «Sto camminando sui corpi dei vostri uomini morti, contessa di Forlì e signora di Imola. Ditemi, Caterina: volete che eriga un muro di cadaveri per raggiungervi? Perché, in tal caso, lo farò». Lei gli rivolse un debole sorriso, e in risposta urlò: «Innalzate pure il vostro muro, Borgia. Innalzatelo! Ma fate attenzione, perché i corpi su cui vi arrampicherete non saranno quelli dei miei uomini».”

“«Ti guardo e mi chiedo: dov’è finito? dov’è mio fratello, quel ragazzo smarrito che amavo? Mi manca… mi manca tanto». Cesare sentì una stretta al cuore. «È ancora qui». «No, è un fantasma. Come Alfonso, Juan e il principe Cem», rispose Lucrezia. «Tu cammini con gli spiriti, Cesare. Essi ti seguono ovunque. E ti aspettano».

A completare un quadro già eccellente, ci sono le scene forti, vive, pulsanti che, attraverso una ricostruzione precisa dell’ambientazione trasmettono al lettore l’impressione di trovarvisi all’interno. 

“Ed era proprio una tigre, quella che adesso Cesare doveva affrontare. Alla testa del suo esercito, in sella a un cavallo nero e con indosso un’armatura nera, egli aspettava e, al ritmo suonato dai tamburini alle sue spalle, i soldati riprendevano le armi. Alla sua destra cavalcava Michelotto, che reggeva il vessillo con lo stemma dei Borgia, e alla sua sinistra avanzava il vescovo di Trani, mentre le truppe addestrate sparavano colpi di cannone contro la fortezza di Forlì, e i mercenari cercavano di arrampicarsi sulla torre diroccata.”

Una narrazione avvincente, sorretta da un ritmo incalzante, serve questo romanzo in cui l’autrice è riuscita a far rivivere i rapporti e le vicende di quei primi anni del Rinascimento, mettendo ben in luce il modo di pensare dell’epoca e i pensieri di ogni personaggio in modo davvero ammirevole.

Insomma, “La saga dei Borgia. Fine di una dinastia” è un romanzo che rapisce e incanta. Ed è la degna conclusione di una trilogia spettacolare!

recensione, Romanzo storico

“Gorgò. La regina di Sparta” di Beatrice Giai Gischia

Sparta, 489 a.C. Nella città al centro della Laconia, Re Cleomene I, della stirpe degli Agiadi, muore improvvisamente. La sua morte lascia la diarchia priva di uno dei suoi re. Non aveva figli maschi Clemeone, soltanto una figlia, Gorgò, di quasi vent’anni. L’assemblea degli Efori e degli Anziani deve occuparsi, così, del matrimonio della giovane: il marito scelto sarà il successore del re defunto.

Nel romanzo “Gorgò. La regina di Sparta”, edito da Santelli Editore, Beatrice Giai Gischia ci racconta la vita di questa nobile donna coraggiosa e libera. L’autrice ci offre, così, un viaggio nella mente di una così lontana nel tempo, che funge da mezzo per spiegare la condizione delle donne nella società spartana, che vantavano un buon livello di emancipazione. Una regina saggia e lungimirante, una donna libera, forte e coraggiosa, che regnò accanto al marito Leonida, riuscendo nel tentativo di far ascoltare la propria voce.

La narrazione è estremamente scorrevole, tanto da permettere al lettore di procedere nella lettura molto velocemente. Il contesto è ricreato rimanendo fedele alla verità storica e l’autrice, seppur con una ricostruzione essenziale dell’ambientazione, è riuscita a rievocare il clima della Grecia di 2.500 anni fa. È apprezzabile, l’intenzione di raccontare parti della storia e della mitologia greca, anche se, a volte, si traduce in inserimenti forzati all’interno della narrazione che possono interrompere il flusso della narrazione e che rendono alcuni passaggi più simili a un saggio. Inoltre. È apprezzabile anche il modo in cui l’autrice restituisce lo sguardo femminile sulla battaglia delle Termopili, mostrando paure e sentimenti di una regina per la sorte del suo regno. La buona caratterizzazione dei personaggi aiuta a ricreare l’atmosfera dell’antica Grecia. La prosa, però, risulta un po’ troppo moderna, rispetto all’epoca nella quale è ambientato il romanzo.

Nonostante la scarsità delle informazioni fornite dalle fonti storiche che l’autrice aveva a disposizione sulla vita della regina Gorgò, è riuscita a ricostruirne la figura, restituendoci il ritratto preciso e verosimile di un personaggio storico femminile degno di nota.

Gorgò. La regina di Sparta” è una lettura fluida permeata di storia e mitologia, che ci fa conoscere una donna straordinaria. Un romanzo adatto a chi voglia conoscere una parte di storia greca e a quanti vogliano incontrare un personaggio femminile poco conosciuto, ma sicuramente eccezionale.

Medioevo, recensione, Romanzo storico

“Il castello dei falchi neri” di Marcello Simoni

Ci sono romanzi che si possono vivere, tanto sono coinvolgenti. Ci sono romanzi che si possono vedere, quasi fossero pellicole cinematografiche che scorrono davanti agli occhi. Ci sono, poi, romanzi da cui è impossibile alzare la testa, da quanto sono appassionanti.

Il castello dei falchi neri”, ultima opera di Marcello Simoni, edita da Newton Compton Editori, appartiene sicuramente a tutte queste categorie!

Napoli, 1233. Al ritorno dalla crociata accanto all’Imperatore Federico II, Oderico Grifone (personaggio di fantasia), primogenito della casata e figlio di Aldelmo l’Uccellatore, il più grande addestratore di falchi del regno, trova una Napoli diversa da quando l’ha lasciata cinque anni prima. Divenuta covo di eretici e canaglie, rosa da un malcontento serpeggiante, divorata dalle tasse imposte da un tiranno che la città non riesce più a tollerare. E quei problemi non hanno risparmiato nemmeno la sua famiglia. Ritrova, così, il fratello minore, monaco Landolfo, scaltro e intelligente, la sorella Aloisia, gentile e determinata, l’intransigente e rude padre Aldelmo e la madre Ebgilberta, la bella e amata Fabrissa. Ma cosa riserverà il destino al coraggioso crociato Oderico? Quanto sarà cambiato il suo mondo in quei cinque anni di lontananza?

Questa è la trama appassionante di un thriller storico che mescola faide familiari, intrighi, potenze e alleanze, amore, segreti, inganni e misteri. E che, in un susseguirsi febbrile di avvenimenti ricchi di suspense, tiene il lettore con il fiato sospeso fino all’epilogo. Una trama contraddistinta da personaggi forti e carismatici, caratterizzati in modo preciso e, a mio avviso, sublime.

“«Una sciagura non la si può certo spaventare, messere», rispose poi, con una smorfia di compatimento. «A Dio piacendo, può solo essere estirpata… come un’erbaccia!». E senza alcun preavviso, gli sbatté la porta in faccia.” Foresta di Acquaviva.

Una narrazione molto scorrevole, caratterizzata da uno stile raffinato e accurato che non la intralcia, e supportata da capitoli brevi, fa sì che si legga tutto d’un fiato, anche se la voglia di prolungare la lettura frena l’istinto di correre tra le sue pagine.

I dialoghi sono trascinanti e potenti. La prosa è impeccabile e il linguaggio è perfettamente coerente con l’epoca narrata.

“«Non è forse dal caos che nascono la luce e l’ordine supremo?». Il diavolo tentatore proferì una risatina beffarda. «Siete fin troppo bravo a far la predica, per essere davvero insofferente alla tonaca». «Vi chiedo perdono», si difese il monaco, «se mostro ancora rispetto per la parola di Dio e verso la mia coscienza». «Si tratta davvero di questo?», lo provocò l’ombra. «O c’è dell’altro?». «A cosa alludete?» «Ho sentito dire, non rammento più dove, che la vigliaccheria sia un attributo comune a tutti i figli cadetti».”

La ricostruzione dell’ambientazione è curata e i particolari sono dosati in modo sapiente. L’abilità di Marcello Simoni, infatti, sta nel rendere in modo perfetto il “qui e ora” così lontano nel tempo senza la necessità di usare lunghe descrizioni. Con l’ausilio di dettagli descrittivi e di termini accurati e pertinenti riesce a rievocare l’atmosfera medievale in maniera nitida e intensa. La velocità delle scene, inoltre, contribuisce ad aumentare il grado di coinvolgimento del lettore, rendendole estremamente vivide.

“Oderico non ci mise molto a strappargli di mano il pugnale, dopodiché gli posò una suola sul petto e lo costrinse a stare disteso nella polvere. «Mi avete insultato una volta di troppo», sentenziò, rivolgendogli contro la sua stessa arma.”

Il castello dei falchi neri” è un romanzo storico in piena regola, perfetto sotto ogni punto di vista, che di certo metterà d’accordo tutti gli appassionati di questo genere letterario. Un vero e proprio tuffo nel Medioevo italiano, con un grado di immersione difficile da spiegare a parole! Se anche dovessero trarre da questo romanzo un film, non riuscirebbe mai a essere più coinvolgente. Una storia che si lascia amare dalla prima all’ultima parola!

ANTICA ROMA, recensione, Romanzo storico

“La dinastia dei re” di Alessandro Troisi

“Così diversi, così uguali. Non sapeva cosa fare, senza di lui. Senza il suo impeto, senza la sua furia, non sarebbe stato altro che un essere incompleto. Erano tutt’uno, due facce della stessa esistenza.”

Tutti conosciamo la leggenda della fondazione di Roma, che deve i suoi natali al giovane Romolo, gemello di Remo, nel 753 a.C. Ma la storia di Roma ha radici ben più lontane nel tempo.

Dopo essere scappato da Troia, Enea approda nel Lazio dove, dopo aver sconfitto il re dei Rutuli, fonda la città di Lavinium. In seguito, suo figlio Ascanio fonda a sua volta la città di Alba Longa. Ed è proprio qui che, nel VIII secolo a. C., ha inizio la storia di Romolo e Remo, che Alessandro Troisi ci racconta nel suo nuovo romanzo, “La dinastia dei re”, edito da Newton Compton Editori. La narrazione prende avvio quattro secoli dopo la nascita di Alba Longa, sotto il regno di Numitore, fratello dello spregevole Amulio. In questa prima parte del romanzo, la trama è incentrata sul periodo precedente la nascita dei gemelli, per poi sportarsi su di loro nella seconda parte.

L’autore ci racconta, così, di due ragazzi molto diversi tra loro. Remo, guidato dalla passione, impulsivo e volto all’azione; Romolo, invece, riflessivo, saggio e pianificatore. Come un leader e il suo braccio destro. Entrambi coraggiosi, battaglieri, determinati, guidati da forti ideali. Due ragazzi di nobili origini che combattono contro il potere usurpato da un tiranno senza scrupoli.

“Sono un membro del popolo di Alba, sono un combattente che non chiede altro che un trattamento equo e giusto per me e per le persone che amo, così come fanno i miei concittadini. Io e mio fratello siamo nati da una famiglia povera. Ma ci siamo resi conto presto che la giustizia e il buon governo hanno abbandonato queste terre da tempo. Che il re che dovrebbe far valere la sua autorità è scomparso all’ombra del suo fratello più crudele e volitivo. Per cui sì, so esattamente chi sono e cosa voglio. E in questo momento non c’è nulla e nessuno che possa farmi ricredere.” Romolo

È ammirevole la caratterizzazione dei personaggi, che sono resi in modo vivido e tridimensionale, permettendo una migliore immersione nella storia.

“E così, il Fato torna a muovermi guerra. Dovevo immaginare che le sue trame contro di me non fossero affatto concluse. Ma il Signore delle sorti non mi vincerà. Questo è il mio regno, il regno che ho conquistato. Che mi corra incontro, il Fato. Mi troverà qui ad attenderlo.” Amulio

La prosa fluida e scorrevole permette di procedere velocemente tra le pagine di un racconto che cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime parole. La ricostruzione dell’ambientazione è essenziale, ma riesce comunque a rievocare il clima nel quale è ambientata la vicenda. L’ottimo uso dei dialoghi rende il romanzo molto ritmato e appassionante, in grado di conquistare anche i lettori poco inclini a questo periodo storico. È poi davvero interessante il modo in cui l’autore ha saputo ricostruire la vicenda dei due protagonisti, attingendo dalle fonti storiche. Tra personaggi storici e di fantasia, l’autore è riuscito a restituirci il confine tra storia e leggenda senza discostarsi in modo eccessivo dalle fonti. Le scene sono incisive, in particolar modo quelle di battaglia, che riescono a rimandare in modo netto l’immagine senza essere inutilmente prolisse.

“Romolo sguainò la spada e insieme ripresero ad avanzare verso le scale, circospetti, mentre tutt’intorno a loro continuava il fracasso della battaglia e vampate di luce rossastra arrivavano di tanto in tanto a illuminare la scena.”

La dinastia dei re” è un romanzo scorrevole e appassionante, che incuriosisce ed emoziona. Ed è la nuova prova con cui Alessandro Troisi ha dimostrato di essere davvero un abile narratore.  

recensione, SAGGIO

“L’ingegno e le tenebre” di Roberto Mercadini

“Forse per un’artista c’è un unico onore più grande del ricevere un soprannome. Divenire noto con il proprio semplice nome di battesimo, eclissando le miriadi di omonimi. (…) Cosa serve per farsi un nome? Perché un artista si stagli sullo sfondo degli anonimi, diverso, inconfondibile? Serve una prospettiva nuova, serve uno sguardo diverso. Serve adottare un punto di vista sulle cose di cui nessuno prima si era curato.”

Premessa: il Rinascimento è il mio periodo storico preferito e Michelangelo e Leonardo sono due dei personaggi del passato che più amo, quindi ho letto un’infinità di romanzi, saggi, monografie e biografie dedicati a loro e al periodo in cui sono vissuti (tra i quali anche alcuni dei testi citati nella bibliografia de “L’ingegno e le tenebre”, compreso “Le vite” di Giorgio Vasari). Ho voluto fare questa breve precisazione per far meglio comprendere la meraviglia de “L’ingegno e le tenebre” di Roberto Mercadini, edito da Rizzoli. Infatti, nonostante conoscessi gli eventi e i personaggi che si ritrovano nel libro, nonché le biografie dei due protagonisti, ho trovato questo saggio estremamente meraviglioso.

Su una linea parallela, in brevi capitoli alternati che seguono la linea del tempo, Mercadini ci racconta le vite di due dei più grandi artisti della Storia, due titani: Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. E la prima particolarità è che non si tratta di una biografia esaustiva, nella quale viene riportato ogni evento delle vite dei due. Lo scopo dell’autore è, infatti, quello di confrontare i due geni, per farne risaltare l’eccezionalità. E lo fa utilizzando gli episodi e i momenti più significativi delle loro esistenze. Così facendo, ci mostra le opposizioni dei loro caratteri e delle loro personalità, ma anche i punti in comune nelle loro vite, come alcuni progetti impossibili da realizzare sui quali entrambi si sono intestarditi. Inoltre, attraverso il confronto con altri importanti artisti coevi, ci mostra quanto il loro genio spiccasse su tutti.

Tra di loro ci sono ventitré anni di differenza, ma le diversità non si fermano soltanto all’anagrafe. Leonardo e Michelangelo sono, infatti, due personaggi agli antipodi, come il giorno e la notte.

Leonardo è un uomo bello, pacato e riflessivo, elegante nell’abbigliamento e nel portamento, vive da gran signore nonostante non possa permetterselo, è un uomo di corte, quindi è piacevole e amabile. Però non ha ricevuto un’istruzione e non conosce il latino; tutto ciò che ha appreso lo ha studiato da autodidatta. Inoltre, non ha alcun interesse per Dio e la religione. Ha l’abitudine di non portare quasi mai a termine le commissioni e i suoi tempi di lavoro sono immensamente dispersivi. La sua mente è un continuo groviglio di pensieri e studi: nonostante abbia davanti agli occhi un obiettivo, riesce sempre a trovare qualcosa che devia la sua attenzione. Leonardo vuole “fermare con l’arte ciò che è impossibile da fermare, evanescente, inafferrabile” e osserva il mondo come un bambino, studiando tutto perché vuole conoscere tutto.

“È come se camminasse nel buio, con la visione periferica al massimo dell’importanza. Vede un oggetto davanti a sé, lo guarda, ma fissandolo si accorge con la coda dell’occhio che c’è qualcos’altro lì vicino. Allora sposta lo sguardo per mettere a fuoco questo nuovo oggetto, ed ecco che, così facendo, un terzo elemento entra nel suo campo visivo, costringendolo a spostare nuovamente lo sguardo.”

Michelangelo, invece, è sgraziato e trasandato nell’abbigliamento, vive da povero, al limite del degrado, nonostante sia immensamente ricco. Odia le comodità, ma più in generale la civiltà, ed è scontroso, iracondo e non si fida di nessuno, insomma ha un caratteraccio, è un lupo solitario che vuole differenziarsi da tutti. È, però, un raffinato letterato, profondo conoscitore di Dante. È profondamente religioso. Onora tutte le commissioni (e quando non le porta a termine ha delle valide ragioni) e lo fa in tempi rapidi. Michelangelo non vede nient’altro che ciò che ha di fronte, il suo obiettivo, e non si ferma finché non lo ha raggiunto. Vuole superare i più importanti colleghi del tempo e diventare il più grande scultore della Storia.

“Michelangelo, artista sublime, amico dei papi, raffinato autore di sonetti, profondo conoscitore di Dante è anche questo: un uomo che definito barbarico, bestiale.”

Ecco, l’autore scava nel genio di questi due personaggi, nelle loro anime con un modo di raccontare incredibile. Avvincente come una leggenda, riesce a creare una magia che tiene incollato il lettore alle pagine.

Ora vi darò due motivi per cui consiglio questa lettura a quanti non abbiano confidenza con i saggi o con il Rinascimento. Innanzitutto, lo stile fresco, frizzante, accattivante; inoltre, il modo in cui Mercadini riesce a condensare fatti i fatti storici che fanno da sfondo alle biografie dei due protagonisti e le vite dei personaggi che con loro hanno interagito. Senza mai sminuire nulla, ma anzi, con grande competenza, riesce a riassumere eventi complessi in modo sublime. E nello stesso modo riesce a restituirci l’analisi di importanti opere d’arte, che immerge nel contesto nel quale hanno visto la luce e che utilizza per spiegare il periodo storico.

Ora, un motivo per cui, invece, lo consiglio agli appassionati come me di Rinascimento e di questi due grandissimi geni. Mettendo in risalto luci e ombre dei due artisti fiorentini, Mercadini ce li racconta come nessun altro ha saputo fare! Tra le pagine di questo libro, l’autore insinua dubbi, crea domande, azzarda risposte; mette a nudo Leonardo e Michelangelo, scavando in profondità. E, nonostante possa sembrare un obiettivo complesso, il risultato è assolutamente godibile e lineare. Ci accompagna tra le pieghe del tempo, mostrandoci la meraviglia del Rinascimento, mettendo insieme i tasselli di un puzzle che ci portano a comprendere meglio i due artisti e lo fa in un modo così appassionante da impedire al lettore di staccare gli occhi dalle pagine.

Insomma, “L’ingegno e le tenebre” è un libro meraviglioso, una lettura straordinaria, un viaggio infinitamente appassionante. A mio avviso, senza dubbio il miglior libro del 2022!

recensione, REVIEW PARTY

“Il messaggero degli Asburgo” di Coralie Winka – Review Party

Gand, 1477. Sullo sfondo delle Fiandre dei tessuti, in guerra con la Francia di Luigi XI, si svolge il romanzo breve di Coralie Winka, “Il messaggero degli Asburgo”, edito da Literary Romance. Si tratta di un romance storico che vede protagonista Clotilde Vaast, la figlia di un mercante di tessuti, nonché giovane sarta della duchessa Maria di Borgogna, e Hans Gerber, cavaliere dell’Arciduca d’Austria Maximilien e messaggero del Sacro Romano Impero. È il destino a mettere il giovane e valoroso Hans sul cammino della bella Clotilde, ma lo stesso destino ha piani diversi per l’avvenire della fanciulla. L’amore sarà sufficiente a spezzare le catene che, da secoli, stringono i polsi delle donne?

Tra verità storica e adattamento narrativo, l’autrice ricostruisce il contesto storico in modo fedele, riproponendo la situazione sociopolitica delle Fiandre di fine Quattrocento, oggetto di guerre e rivendicazioni da parte di sovrani stranieri (in particolare del re di Francia Luigi XI), alla morte del duca di Borgogna Carlo il Temerario. Il lettore ha modo, così, di ripercorrere le problematiche legate alla successione, le insurrezioni scatenate dal malcontento popolare, i rapporti con i sovrani stranieri.

Anche l’ambientazione è ricostruita in modo accurato, tra tessuti lucidi, fili multicolore, taverne, tornei, prigioni, cavalieri e stanze nobiliari. La prosa è delicata e adeguata al periodo narrato; la narrazione è scorrevole e incalzante.

L’amore avventuroso e romantico tra Clotilde e Hans la fa da padrone, ma in questo romanzo è ben evidenziata anche la condizione della donna sul finire del Medioevo. La sua vita ha valore solo se incatenata a quella di un uomo, che si tratti di un matrimonio per continuare l’attività di famiglia o di un’unione pe permettere di esercitare un diritto di nascita, come quello di regnare. Donne utili solo per proficue alleanze, mere merci di scambio, sempre soggette alla potestà di padre o marito, anche quando i titoli di nascita sarebbero sufficienti per la loro emancipazione. Ma la giovane Clotilde è una ragazza coraggiosa e determinata a non cedere alle consuetudini.

Riuscirà nell’ardua impresa di vivere l’amore? Lo scoprirete solo leggendo “Il messaggero degli Asburgo”! Una lettura piacevole e scorrevole che, seppur breve, riesce a far palpitare i cuori senza dimenticare di far immergere il lettore nella suggestiva cornice medievale.