recensione, Romanzo storico

“La saga dei Borgia. Fine di una dinastia” di Alex Connor

Roma, 1497. L’ultimo capitolo della saga di Alex Connor dedicata ai Borgia, “La saga di Borgia. Fine di una dinastia”, edito da Newton Compton Editori, prende avvio dalla morte del primogenito di papa Alessandro VI, Juan Borgia. Il papa è distrutto dalla perdita e i suoi nemici sono pronti ad approfittare della situazione. Carlo VIII è morto e sul trono di Francia siede Luigi XII, che vuole Milano e Napoli. Gli equilibri politici sono cambiati, così come gli assetti e le mire della famiglia Borgia. E, soprattutto, di Cesare.

In questo ultimo atto della storia dei Borgia, infatti, assistiamo all’ascesa di Cesare, la sua definitiva evoluzione nel temibile condottiero che la Storia ricorda. Spogliato della veste cardinalizia e rivestito dell’armatura del comandante, il vero io di Cesare esplode, lasciando spazio soltanto alla sua sconfinata e pericolosa ambizione. Nel primo volume abbiamo assistito all’educazione del giovane Borgia a perseguire i fini della famiglia con ogni mezzo, nel secondo alla gelosia nei confronti del fratello maggiore investito della carica che egli voleva per sé, nonché all’estrema insofferenza per il suo ruolo all’interno della Chiesa. In questo ultimo volume, Cesare, finalmente libero dalle briglie che lo tenevano soggiogato e fomentato dall’educazione e dalle ingiustizie del passato, mostra la sua vera natura.

“«E io sono Cesare Borgia, destinato a diventare duca di Romagna», rispose egli con ferocia. «E, se per raggiungere i miei fini dovrò vendere Napoli ai francesi come una puttana, lo farò».”

Un’evoluzione che gli costa il deterioramento dell’unico rapporto umano costante, quello con la sorella Lucrezia, e la nascita dei sospetti e della paura di Rodrigo nei suoi confronti. Ed ecco allora, ora più che mai, il Cesare aggressivo, arrogante, determinato, dal coraggio sconsiderato, quasi diabolico, e dall’ambizione frenetica; selvaggio, lussurioso e crudele. “Io non ho mai creduto in niente, se non in me stesso…” Una deflagrazione che fa tremare e confondere i confini di potere tra lui e papa Alessandro VI.

“«Siamo noi che comandiamo qui!», ruggì il pontefice con voce stentorea. «Devi obbedirci. Devi obbedirci senza fare domande, Cesare. Noi non ci inchineremo di fronte a te, è la tua volontà che si piegherà a noi! noi siamo il papa!». Furibondo, Rodrigo prese un bicchiere di vino e lo scagliò dall’altra parte della stanza; il calice si infranse contro una parete lontana sotto gli occhi del Burcardo, che assisteva intimorito alla rabbia del pontefice. Le guance di Rodrigo erano livide, la fronte imperlata di sudore, le vene sulle tempie gli si erano gonfiate, e la sua collera era terrificante, quando si voltò verso suo figlio. «Vattene!». Indicò la porta. «Vattene, Cesare, o non risponderemo delle nostre azioni».”

Uno sviluppo della sua personalità che, tra le fetide segrete di Castel Sant’Angelo, le decorate stanze vaticane e i sanguinolenti campi di battaglia, lo conduce verso la sua parabola discendente. Tuttavia, la Connor ci mostra come il lato umano, che Cesare nasconde e che si esprime nei confronti di Taddea di Becco (personaggio di fantasia) e di Lucrezia, combatta contro l’animo distruttore. Infatti, uno dei pregi di questa trilogia risiede nel lavoro fatto dall’autrice per superare i pregiudizi esistenti nei confronti di questa famiglia per restituirci personaggi storici nella loro interezza. In questo intento riesce grazie alla perfetta gestione di due aspetti. Innanzitutto, la caratterizzazione a tutto tondo dei personaggi. Rimanendo fedele alla storiografia, interpreta e restituisce lo spirito di ognuno di loro, trasmettendo al lettore la sensazione di poter vedere queste persone.

“Il cardinale appoggiò la schiena al sedile della carrozza, con le mani infilate nelle maniche della veste cardinalizia; i palmi gli prudevano, e le dita desideravano stringere la tiara papale.”

E, tra questi personaggi, troviamo anche il diplomatico e scaltro Niccolò Macchiavelli, dalla memoria prodigiosa e dall’intelligenza eccezionale, il cardinale Giuliano della Rovere e l’indomita e temeraria Caterina Sforza. In secondo luogo, i dialoghi sublimi, con battute perfettamente centrate per ogni personaggio e un linguaggio “contemporaneo” riadattato al Rinascimento.

“«Vi sfido Borgia!», gli gridò. «Questa è la mia fortezza, e nessun bastardo me la porterà via». Il duca replicò con voce ammonitrice. «Sto camminando sui corpi dei vostri uomini morti, contessa di Forlì e signora di Imola. Ditemi, Caterina: volete che eriga un muro di cadaveri per raggiungervi? Perché, in tal caso, lo farò». Lei gli rivolse un debole sorriso, e in risposta urlò: «Innalzate pure il vostro muro, Borgia. Innalzatelo! Ma fate attenzione, perché i corpi su cui vi arrampicherete non saranno quelli dei miei uomini».”

“«Ti guardo e mi chiedo: dov’è finito? dov’è mio fratello, quel ragazzo smarrito che amavo? Mi manca… mi manca tanto». Cesare sentì una stretta al cuore. «È ancora qui». «No, è un fantasma. Come Alfonso, Juan e il principe Cem», rispose Lucrezia. «Tu cammini con gli spiriti, Cesare. Essi ti seguono ovunque. E ti aspettano».

A completare un quadro già eccellente, ci sono le scene forti, vive, pulsanti che, attraverso una ricostruzione precisa dell’ambientazione trasmettono al lettore l’impressione di trovarvisi all’interno. 

“Ed era proprio una tigre, quella che adesso Cesare doveva affrontare. Alla testa del suo esercito, in sella a un cavallo nero e con indosso un’armatura nera, egli aspettava e, al ritmo suonato dai tamburini alle sue spalle, i soldati riprendevano le armi. Alla sua destra cavalcava Michelotto, che reggeva il vessillo con lo stemma dei Borgia, e alla sua sinistra avanzava il vescovo di Trani, mentre le truppe addestrate sparavano colpi di cannone contro la fortezza di Forlì, e i mercenari cercavano di arrampicarsi sulla torre diroccata.”

Una narrazione avvincente, sorretta da un ritmo incalzante, serve questo romanzo in cui l’autrice è riuscita a far rivivere i rapporti e le vicende di quei primi anni del Rinascimento, mettendo ben in luce il modo di pensare dell’epoca e i pensieri di ogni personaggio in modo davvero ammirevole.

Insomma, “La saga dei Borgia. Fine di una dinastia” è un romanzo che rapisce e incanta. Ed è la degna conclusione di una trilogia spettacolare!

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Medioevo, recensione, Romanzo storico

“Il castello dei falchi neri” di Marcello Simoni

Ci sono romanzi che si possono vivere, tanto sono coinvolgenti. Ci sono romanzi che si possono vedere, quasi fossero pellicole cinematografiche che scorrono davanti agli occhi. Ci sono, poi, romanzi da cui è impossibile alzare la testa, da quanto sono appassionanti.

Il castello dei falchi neri”, ultima opera di Marcello Simoni, edita da Newton Compton Editori, appartiene sicuramente a tutte queste categorie!

Napoli, 1233. Al ritorno dalla crociata accanto all’Imperatore Federico II, Oderico Grifone (personaggio di fantasia), primogenito della casata e figlio di Aldelmo l’Uccellatore, il più grande addestratore di falchi del regno, trova una Napoli diversa da quando l’ha lasciata cinque anni prima. Divenuta covo di eretici e canaglie, rosa da un malcontento serpeggiante, divorata dalle tasse imposte da un tiranno che la città non riesce più a tollerare. E quei problemi non hanno risparmiato nemmeno la sua famiglia. Ritrova, così, il fratello minore, monaco Landolfo, scaltro e intelligente, la sorella Aloisia, gentile e determinata, l’intransigente e rude padre Aldelmo e la madre Ebgilberta, la bella e amata Fabrissa. Ma cosa riserverà il destino al coraggioso crociato Oderico? Quanto sarà cambiato il suo mondo in quei cinque anni di lontananza?

Questa è la trama appassionante di un thriller storico che mescola faide familiari, intrighi, potenze e alleanze, amore, segreti, inganni e misteri. E che, in un susseguirsi febbrile di avvenimenti ricchi di suspense, tiene il lettore con il fiato sospeso fino all’epilogo. Una trama contraddistinta da personaggi forti e carismatici, caratterizzati in modo preciso e, a mio avviso, sublime.

“«Una sciagura non la si può certo spaventare, messere», rispose poi, con una smorfia di compatimento. «A Dio piacendo, può solo essere estirpata… come un’erbaccia!». E senza alcun preavviso, gli sbatté la porta in faccia.” Foresta di Acquaviva.

Una narrazione molto scorrevole, caratterizzata da uno stile raffinato e accurato che non la intralcia, e supportata da capitoli brevi, fa sì che si legga tutto d’un fiato, anche se la voglia di prolungare la lettura frena l’istinto di correre tra le sue pagine.

I dialoghi sono trascinanti e potenti. La prosa è impeccabile e il linguaggio è perfettamente coerente con l’epoca narrata.

“«Non è forse dal caos che nascono la luce e l’ordine supremo?». Il diavolo tentatore proferì una risatina beffarda. «Siete fin troppo bravo a far la predica, per essere davvero insofferente alla tonaca». «Vi chiedo perdono», si difese il monaco, «se mostro ancora rispetto per la parola di Dio e verso la mia coscienza». «Si tratta davvero di questo?», lo provocò l’ombra. «O c’è dell’altro?». «A cosa alludete?» «Ho sentito dire, non rammento più dove, che la vigliaccheria sia un attributo comune a tutti i figli cadetti».”

La ricostruzione dell’ambientazione è curata e i particolari sono dosati in modo sapiente. L’abilità di Marcello Simoni, infatti, sta nel rendere in modo perfetto il “qui e ora” così lontano nel tempo senza la necessità di usare lunghe descrizioni. Con l’ausilio di dettagli descrittivi e di termini accurati e pertinenti riesce a rievocare l’atmosfera medievale in maniera nitida e intensa. La velocità delle scene, inoltre, contribuisce ad aumentare il grado di coinvolgimento del lettore, rendendole estremamente vivide.

“Oderico non ci mise molto a strappargli di mano il pugnale, dopodiché gli posò una suola sul petto e lo costrinse a stare disteso nella polvere. «Mi avete insultato una volta di troppo», sentenziò, rivolgendogli contro la sua stessa arma.”

Il castello dei falchi neri” è un romanzo storico in piena regola, perfetto sotto ogni punto di vista, che di certo metterà d’accordo tutti gli appassionati di questo genere letterario. Un vero e proprio tuffo nel Medioevo italiano, con un grado di immersione difficile da spiegare a parole! Se anche dovessero trarre da questo romanzo un film, non riuscirebbe mai a essere più coinvolgente. Una storia che si lascia amare dalla prima all’ultima parola!

recensione, REVIEW PARTY

“Il cimitero di Venezia” di Matteo Strukul – Review Party

Venezia, 1725. La Venezia del doge Alvise Mocenigo è piegata da un’epidemia di vaiolo. Ma la malattia non è l’unica piaga che colpisce la città: una nobildonna viene ritrovata con il petto squarciato nelle acque fredde della laguna. Il sangue macchia le acque di una città che cerca in ogni modo di nascondere il proprio declino. Il doge, in quei giorni, però, è angustiato da un dipinto del più importante pittore della città, Antonio Canal, detto Canaletto. In una delle sue ultime e celebri vedute, egli ha casualmente ritratto un nobile molto in vista in uno dei luoghi più poveri di Venezia, il Rio dei Mendicanti. Decide così di convocare l’artista per chiedere spiegazioni in merito e per affidargli il compito di scoprire per quale motivo l’uomo si trovasse in quel luogo. Ma quell’indagine, che lo obbliga ad attività alle quali non è abituato, lo condurrà fin dove nemmeno la sua mente avrebbe immaginato. Fino all’inevitabile resa dei conti!

Questa è la trama del nuovo thriller storico di Matteo Strukul, “Il cimitero di Venezia”, edito da Newton Compton Editori.

Con la prosa sorprendente alla quale ci ha ormai abituati, Strukul ci accompagna nelle pieghe della Venezia illuminista, nei meandri dei salotti, catapultandoci dalle sale del potere ai bassifondi della città, in un groviglio di indagini, pedinamenti, supposizioni e ipotesi, in un caleidoscopio di figure simbolo di Venezia. E un ruolo importante lo gioca la ricostruzione dell’ambientazione che è impeccabile e immersiva. Tra parrucche incipriate, spade, tricorni, tabarri e larve, attraverso le immagini tratteggiate dalle sue parole, Strukul ci mostra la Venezia sul finire della sua gloria, in un libro in cui c’è spazio per gli elementi caratteristici dei più grandi classici: amore, avventura, intrighi, congiure, suspense, indagini. E ciò che davvero stupisce, a ogni romanzo sempre più, è l’abilità dell’autore di dipingere con le parole e di rievocare con esse l’essenza di una città e di un’epoca straordinaria. Una maestria che, anche a prescindere dalla trama, riesce a incantare il lettore.

Lo stile ipnotico rende il romanzo scorrevole, fluido al punto che le pagine scorrono senza che il lettore se ne renda conto, ed è caratterizzato da un lessico accurato e ricercato, che riesce a innalzare il livello di immersione nella vicenda. Uno dei punti di forza dell’autore è, infatti, la capacità di adattare in modo sorprendente il lessico al periodo narrato. Il lettore riesce così, senza nessuno sforzo, a capire immediatamente in quale periodo storico sia ambientata la vicenda di ogni suo romanzo.

La caratterizzazione dei personaggi è precisa e incisiva, sia per il protagonista che per i personaggi secondari. In particolare, la figura del Canaletto assume una veste credibile, non di investigatore temerario, ma al contrario di incerto e inesperto strumento nelle mani del doge, con in tasca soltanto la certezza di voler proteggere la sua amata città. Inoltre, il personaggio femminile che affianca il protagonista è una figura interessante, una donna indipendente, coraggiosa e forte. Ogni personaggio risulta, così, estremamente affascinante, parteggi esso per il bene o per il male. Molto interessante anche la focalizzazione sul mestiere del pittore e del vetraio.

La trama è avvincente e imprevedibile; in essa, l’autore ha saputo tirare fili invisibili fino a formare una matassa impossibile da districare, che rotola sempre più velocemente fino all’epilogo inaspettato. Grazie a una conoscenza viscerale della storia di Venezia e a una preparazione eccellente, è riuscito a intersecare nella trama temi originali e anche molto attuali.

Il cimitero di Venezia” non è soltanto un thriller storico avvincente, ricco di passione e tormento. È anche l’affresco di una città unica in un’epoca affascinante. Ed è una prova ulteriore che l’abilità di Matteo Strukul di raccontare la Storia e la bellezza del nostro Paese è ineguagliabile!

recensione

Il secondo capitolo de “La saga dei Borgia” di Alex Connor: “Un solo uomo al potere”.

“Eppure, il papa aveva salvato Roma. E Roma, come un cane bastonato, si inginocchiò ai suoi piedi calzati da pantofole chinando la schiena in segno di supplica e piegando la testa di fronte alla lama della spada dei Borgia.”

La saga dei Borgia. Un solo uomo al potere”, scritto da Alex Connor ed edito da Newton Compton Editori, è il secondo capitolo della saga dedicata alla famigerata famiglia spagnola di papa Alessandro VI.

La narrazione prende avvio nel 1496. Alessandro VI siede sul soglio di Pietro da quattro anni ormai e sta assistendo alla ritirata dell’esercito francese di Carlo VIII che, dopo aver attraversato l’Italia e aver conquistato Napoli, ha dovuto abbandonare la gloria a causa della peste e della sifilide che ne hanno piegato l’esercito. E, proprio per fronteggiare i francesi, gli equilibri politici sono cambiati nella penisola. Si è formata, infatti, a protezione di Roma e dell’Italia, la Lega Santa tra Milano, Venezia, il Sacro Romano Impero, i sovrani di Castiglia e Aragona e il re d’Inghilterra; tutti uniti contro il giovane e inesperto re francese. Ma non sono soltanto le grandi potenze a essere cambiate: anche le alleanze tra le famiglie si sono rovesciate e i traditori vanno puniti; in primis, la famiglia Orsini, colpevole di aver parteggiato per Carlo VIII.

Per questo, assistiamo alle battaglie di Fornovo e di Bracciano, dove il ruolo del figlio prediletto del papa, Juan, conte di Gandia, appena nominato capitano generale dell’esercito papale, sarà decisivo. E il fulcro della trama di questo secondo capitolo della saga è proprio il rapporto tra Juan e l’altro figlio del papa, il cardinale Cesare Borgia. Assistiamo, infatti, allo sviluppo della gelosia di Cesare nei confronti del fratello, per quel ruolo di condottiero per il quale è nato e cresciuto e al quale ambisce con ogni fibra del suo essere. Ma che, tuttavia, gli viene negato dal padre, che lo costringe alla porpora cardinalizia, pur sapendo che egli non nutre in sé alcuna fede in Dio e che quelle vesti lo soffocano e gli bruciano le carni più di qualsiasi tortura perpetrata in Castel Sant’Angelo.

L’autrice è abilissima nel trasmettere questo sentimento che plasma il giovane Cesare, che all’epoca delle vicende ha ventun anni, e a farci capire quanto l’antagonismo con il fratello lo cambierà nel profondo. Infatti, al momento della narrazione, Cesare è sì l’uomo più temuto di Roma, ma non è ancora divenuto lo spietato e terribile condottiero che è passato alla Storia. E la Connor, pur senza intaccarne indole e personalità, ce ne consegna un’immagine più umana, grazie anche al suo rapporto (frutto di finzione narrativa) con Taddea di Becco, sorella del Pinturicchio.

L’autrice ci racconta, quindi, un altro pezzo della storia della famiglia Borgia con uno stile ipnotico che mescola fatti e pensieri reconditi che estrapola da ogni personaggio, regalandoci un affresco vivo di questo squarcio di Rinascimento. È, infatti, magistrale, il modo in cui ci accompagna nella mente di ogni personaggio, ognuno dei quali è totalmente calato nella mentalità rinascimentale. Uno dei punti forti del romanzo è, appunto, rappresentato dalla caratterizzazione, sia fisica che psicologica, dei personaggi. “Sono nato con una macchia, un marchio, come quello di Caino. Ma è il marchio di mio padre, il marchio dei Borgia, e come tale sono stato allevato per non mostrare alcuna debolezza (Cesare).” Ritroviamo, così, l’arrogante e vanaglorioso Juan, tanto lussurioso e crudele, quanto incapace e sconsiderato; l’ingovernabile e inflessibile Cesare, l’uomo che non ha paura di nulla e nessuno e che è più determinato e spietato del papa; la bella Lucrezia, dalla mente acuta e letale; lo spietato, astuto e ambizioso Rodrigo; l’implacabile e imperturbabile Miguel de Corella, il mercenario con le mani sporche del sangue versato in nome della croce, l’uomo che è la mano, l’occhio e l’orecchio di Cesare. E poi il vicecancelliere papale Ascanio Sforza, nonché i nemici del papa, il cardinale Giuliano della Rovere e il fanatico monaco Girolamo Savonarola, che governa una Firenze in rovina, carica di tensione, povertà e rancore, che tramano per deporre Alessandro VI.

Altro punto forte è costituito dai dialoghi brillanti, potenti e coinvolgenti, capaci di mostrarci la natura di ogni personaggio. “Ho riposto la mia fede in Dio. Egli muove la mia lingua e vi pone le parole. Nessun papa Borgia può farmi tacere, e nessun toro spagnolo può mettere la museruola a Dio (Savonarola)”.

Il linguaggio è corretto e coerente, caratterizzato da espressioni impeccabili per l’epoca in cui si svolge il romanzo, che permettono al lettore di scivolare all’interno delle vicende con grande facilità.  

Un romanzo storico ineccepibile, più avvincente e visivo di un film, grazie all’intreccio mozzafiato e alle scene pulsanti e immersive. Veleni, congiure, alleanze, gelosie, intrighi e spie si mescolano in questo libro che si divora tutto d’un fiato, donando al lettore la sensazione di partecipare quasi fisicamente alle scene. Senza alcuno sforzo, si possono, infatti, udire le voci di Cesare e Rodrigo che discutono sulla carica di Juan, i sussurri di Taddea e Pinturicchio nelle sale vaticane in cui il pittore sta lavorando, le urla di acclamazione delle donne di Roma per il bel duca di Gandia. “Dove avrebbe dovuto trovarsi Juan c’era invece Cesare Borgia, pieno di risentimento nei suoi paramenti clericali, a guardare il fratello cavalcare come il Santo Soldato di Roma. L’ego di Juan lo circondava come un’aureola, le donne gli baciavano gli stivali e toccavano i fianchi della sua cavalla per attirare la fortuna. E mentre il coto intonava il Te deum, gli stendardi intorno a San Pietro fluttuavano nell’aria calda, e il sole illuminava l’uomo e l’esercito che sarebbero ritornati a Roma da eroi.”

“La saga dei Borgia. Un solo uomo al potere” è un romanzo che soggioga il lettore, costringendolo a incedere frenetico e cauto allo stesso tempo tra le sue pagine. Una volta iniziato, infatti, ci si ritrova combattuti tra la volontà di sfogliare una pagina dietro l’altra per proseguire nelle vicende e la voglia di rimanere in quelle scene create con così grande abilità da illuderci di farne parte. È, senza dubbio, uno di quei romanzi capaci di trasportare il lettore indietro nel tempo per catapultarlo al cospetto dei personaggi che hanno fatto la Storia!

recensione

“L’inganno Macchiavelli”, il nuovo romanzo di Fabio Delizzos

È l’ottobre del 1503 e, a Firenze, la moglie del segretario Niccolò Macchiavelli sta per dare alla luce il loro secondo figlio. Ma la Repubblica, per Niccolò, viene prima di tutto e quando il dovere chiama, lui non può far altro che rispondere. Questa volta, però, la missione che gli viene affidata lo riguarda molto da vicino: una misteriosa lettera arrivata da Roma lo minaccia espressamente di morte. E, purtroppo, la minaccia non è vana e si concretizza ai danni del suo giovane coadiutore Gherardo Valori. Il gonfaloniere Soderini lo incarica, dunque, di raggiungere Roma e cercare il colpevole che firma le lettere con il nome di un diavolo: Belfagor. Nelle more del conclave seguito alla morte di papa Pio III (successore di Alessandro VI Borgia, ma il cui papato è durato soltanto dieci giorni), si svolgono le indagini di Niccolò, nell’arco temporale di sei giorni, dal 27 ottobre a 1° novembre 1503. Aiutato dall’impavido Isac Ventura, guardia del corpo fornita dal cardinale Soderini, e grazie alle conoscenze tra le personalità di Roma, Niccolò si muove tra le strade della città per scoprire l’identità del misterioso Belfagor che ha attentato alla sua vita e per spiegare la serie di misteriosi omicidi che sta terrorizzando il popolo romano, trovandosi ad avere a che fare con diavoli, assassini, veleni e congiure.

Questa è la trama di “L’inganno Macchiavelli”, il nuovo romanzo di Fabio Delizzos, edito da Newton Compton Editori.

Un thriller storico avvincente, nel quale l’autore miscela con precisione una trama investigativa ad un contesto storico accurato, nella quale troviamo, da una parte, il conclave con i suoi dubbi e le sue manipolazioni e dall’altra, l’indagine serrata condotta da Macchiavelli.

Risulta molto interessante la ricostruzione dell’ambientazione che mostra i problemi della Roma in sede vacante, nelle more dell’elezione papale: una città sfigurata dalla guerra e dalla miseria, dove regnano l’incertezza e l’anarchia; dove i mali e i difetti della città si moltiplicano generando violenza e povertà.

Personaggi storici e personaggi di fantasia sono amalgamati con competenza. Incontriamo, infatti, oltre al Macchiavelli, il temibile Cesare Borgia, ormai nella fase più buia della sua vita, il cardinale Giuliano della Rovere, che diverrà papa Giulio II, il cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere di Firenze Pier Soderini, la famiglia Orsini e Gian Paolo Baglioni.

In questo giallo nella Roma rinascimentale, la trama di fantasia è perfettamente incastrata nella realtà storica ed è talmente verosimile da far pensare che sarebbe potuta accadere davvero. Infatti, pur nella fantasia narrativa, l’autore è riuscito a mantenere molti elementi della realtà storica, a partire dal viaggio a Roma di Macchiavelli nel quale si sviluppa la vicenda. A tal proposito, per comprendere appieno l’abilità dell’autore, suggerisco di non tralasciare la lettura della nota storica al termine del romanzo che permette di apprezzarlo ancor di più.

L’inganno Macchiavelli” è un romanzo trascinante, con una trama ben congeniata capace di fondere Storia e fantasia, che ci restituisce alcuni celebri personaggi storici in una veste inedita e graffiante, ma perfettamente verosimile.

Senza categoria

Tempesta maledetta

2020: mentre imperversa la pandemia da coronavirus, a Londra viene ritrovato il cadavere di un noto gallerista, Thomas Middleshow. Il ricercatore, esperto in crimini d’arte, Gil Eckhart viene chiamato ad indagare sull’omicidio, che non resterà l’unico. Una serie di delitti, che si espande anche a Venezia, sembra ruotare intorno al dipinto La tempesta di Giorgione.
1510: a Venezia, mentre dilaga la peste, il pittore Giorgione fugge dal suo studio, in pena per la sua amata Florenza, e si nasconde a casa del dottor Forte, suo caro amico, per fuggire dagli uomini di Gabriele Vendramin, di cui Florenza è l’amante.
Tra spregiudicati commercianti d’arte, galleristi senza scrupoli e volgari ladri, si svolge la trama del nuovo romanzo di Alex Connor, “Tempesta maledetta”, edito da Newton Compton Editori.
Un racconto che si sviluppa su doppia linea temporale, in cui l’autrice mette a confronto l’epidemia di peste e di covid-19, facendo emergere le stesse paure, le stesse insicurezze, le medesime reazioni e le uguali teorie complottiste.
Alex Connor descrive, infatti, una Londra dell’agosto 2020, tra saccheggi, minacce di atti terroristici e follia collettiva, in bilico tra realtà e distopia, donando una panoramica di quel passato vicinissimo che ci pare già tanto lontano.
Un’indagine serrata, dal ritmo scorrevole e dal sapore di un giallo d’altri tempi, in cui ogni sospettato ha un movente, ma nessun indizio contro di lui;  un trama miscelata con la giusta dose di suspense, principale ingrediente dei thriller storici di Alex Connor, che rende la lettura piacevole ed appassionante.
Inoltre, l’abilità dell’autrice permette di far emergere la dinamicità di un’indagine apparentemente statica a causa delle restrizioni nelle quali si trova ad operare il protagonista.  
Due epoche storiche lontane legate da un filo invisibile che passa attraverso l’arte di uno dei più importanti pittori rinascimentali italiani, il veneziano Giorgione; due momenti della storia segnati da una piaga terribile, il cui confronto permette di capire quanto l’animo umano sia rimasto lo stesso, oggi come allora.

Romanzo storico

Le sette dinastie

1418.

Milano, Roma, Venezia, Napoli, Ferrara, Firenze sono in lotta per la supremazia. La danza delle battaglie ha inizio.

Visconti-Sforza, Colonna, Borgia, Condulmer, Aragonesi, Estensi e Medici si scontrano e si accordano nell’Italia rinascimentale, tra combattimenti sanguinosi e patti strategici. 
Nel suo nuovo romanzo “Le sette dinastie“, edito da Newton Compton Editori, primo capitolo di una saga che si preannuncia colossale, Matteo Strukul sfoggia tutta la sua straordinaria abilità di romanziere, per regalare al lettore il quadro politico dell’Italia rinascimentale.
Strukul non si limita a raccontare, ma, con una maestria sorprendente, prende per mano il lettore e, attraverso la porta delle sue parole, lo accompagna nel glorioso passato del nostro Paese, che in questo romanzo torna a splendere, fulgente come non mai.
Un libro che entra nel vivo delle lotte e degli intrighi di potere del ‘400, tra nobili famiglie e valorosi soldati di ventura, ripercorrendo i patti, i maneggi e le strategie degli importanti personaggi che hanno popolato questa incredibile epoca storica.
Con stupefacente abilità, Strukul riesce a rendere perfettamente pregi e difetti dei protagonisti, anche attraverso dialoghi straordinariamente vividi e brillanti.
“Le sette dinastie” si dimostra, così, un’opera epica, capace di far conoscere la storia attraverso l’appassionante ritmo del romanzo, coinvolgendo il lettore a 360 gradi.
E rammenta ad ognuno di noi quanto la nostra Italia sia stata il faro della cultura nella storia del mondo, in un passato che ci ha lasciato un patrimonio storico e artistico senza eguali.

INTERVISTA, Romanzo storico

Due chiacchiere con gli autori: MATTEO STRUKUL

DUE CHIACCHIERE CON GLI AUTORI: MATTEO STRUKUL

Il 7 ottobre è arrivato in libreria un nuovo, straordinario e attesissimo romanzo storico, “Le sette dinastie”, edito da Newton Compton Editori e magistralmente scritto da uno degli autori più apprezzati del nostro Paese: MATTEO STRUKUL.

Scrittore, fondatore e curatore del movimento letterario Sugarpulp, direttore artistico di Chronicae, il primo festival italiano dedicato al romanzo storico, Matteo Strukul è l’autore, tra gli altri, della celeberrima tetralogia de “I Medici”, tradotta in dodici lingue e in più di venticinque paesi, il cui primo capitolo, “I Medici – Una dinastia al potere”, gli è valso il Premio Bancarella nel 2017, oltre all’enorme successo di pubblico e critica. Nel 2018 ha pubblicato “Giacomo Casanova – La ballata dei cuori infranti” e “Inquisizione Michelangelo”. Un autore che riesce a dare vita alla Storia per trasportare il lettore in un’altra dimensione; ha l’eccezionale capacità di affrescare le scene come il più valente dei pittori, rendendo immagini nitide di un passato lontano..

  • “Le sette dinastie” è la prima parte di un’opera colossale, che ripercorre le lotte per il potere nell’Italia rinascimentale, in una nuova emozionante saga. Come nasce l’idea di raccontare la realtà politica di quel periodo?

Dopo la tetralogia dedicata a “I Medici” e “Inquisizione Michelangelo” volevo affrontare il Rinascimento in modo plurale, raccontando le storie di tutte le altre grandi dinastie: penso ai Visconti, agli Sforza, ai Condulmer, ai Colonna, ai Borgia. “Le sette dinastie” risponde a questa volontà e sfida. È un’opera complessa, epica per molti aspetti, un’opera che Barbara Baraldi, bontà sua, ha paragonato al “Trono di Spade”. E ha ragione lei perché mi rendo conto, ora, che le lotte fra dinastie, gli intrighi, i tradimenti, le passioni sono elementi che caratterizzano l’opera di Martin. Del resto il grande autore americano non ha mai fatto mistero di ispirarsi alle pagine storiche de La Guerra delle Due Rose. La Storia, anzitutto. Quella con la esse maiuscola. Ebbene, volevo affrontare il Rinascimento nel modo più completo possibile, narrando la spinta innovativa nel mondo dell’arte, non a caso uno dei protagonisti del mio romanzo è Paolo Uccello, lo strepitoso pittore de “La battaglia di San Romano”, ma avendo cura di raccontare anche tutto il quotidiano, nero e terribile, dei capitani di ventura, delle concubine, delle cospirazioni, delle esecuzioni pubbliche.

  • Quale tipo di preparazione richiede un romanzo di questo tipo?

Una preparazione che dura una vita. Non ci si improvvisa autori di romanzi storici. La Storia va studiata, compresa, approfondita. Ma non basta. Altrimenti si scriverebbe un saggio. Invece, come un restauratore, il romanziere deve riportare alla luce i fregi, i decori, gli affreschi su cui si è depositata la polvere e la sabbia del tempo. E come lo sciamano, deve poi evocare i fantasmi, gli spiriti di quei personaggi realmente esistiti e dei tempi che furono. Dopo esservi riuscito, scaraventerà lettrici e lettori in questo mondo che è stato in grado di rievocare, per farli stare al fianco di Filippo Maria Visconti, di Caterina Sforza, di Alfonso d’Aragona. 

  • Leggendo le vicende narrate ne “Le sette dinastie” viene istintivo fare un paragone con la situazione dell’Italia oggi.  Cosa possiamo imparare da questo confronto?

Che l’Italia è un Paese dalle molte culture. Venezia fu regina del Mediterraneo, aveva un intero quartiere a Costantinopoli e una formidabile tradizione marinara. Seppe esprimere per mille anni un’oligarchia illuminata che chiamò Repubblica. Napoli fu dominata dagli Aragonesi e da quelle culture venne fortemente influenzata, sono i castelli stessi a parlarcene. Firenze fu il centro di una rinascita che si manifestò attraverso l’arte rinascimentale e Milano dovette guardarsi sempre, suo malgrado, dalla Francia ma trovò in uomini pragmatici e ardimentosi come Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza la propria guida. E poi c’è Roma. Oggi non è quasi cambiato nulla. La grande cultura partenopea, e quella veneta, altrettanto straordinaria, convivono sotto il medesimo cielo e sono il motivo principale per cui l’Italia è il Paese più amato nel mondo perché la meraviglia sta nella varietà e nelle differenze. Dobbiamo solo capire che queste diversità vanno coordinate, comprese e composte in una grande sintesi culturale, capace di salvaguardare le specificità così da farle scintillare ancor di più agli occhi dei cittadini del mondo.

  • Molte delle tue opere, come la tetralogia de “I Medici”, “Inquisizione Michelangelo” e ora “Le sette dinastie”, raccontano del Rinascimento. Da cosa deriva l’interesse per questo periodo storico?

È il periodo di massimo splendore dell’Italia. L’età dell’oro. Quando la nostra penisola propose una rivoluzione culturale che la fece diventare centro del mondo. Sono stanco di leggere storie di mafia e camorra. Le rispetto, sono importanti, ma dovremmo anche comprendere l’essenziale valore della nostra grande eredità culturale che siamo chiamati a conoscere e valorizzare. Io sono felice di essere italiano e quando vengo invitato in molti Paesi nel mondo a parlare dell’Italia e del Rinascimento, tutti manifestano stupore, meraviglia e venerazione per la nostra nazione. Credo sia importante essere ambasciatori anche di quest’Italia. Questo è dunque il mio impegno, la mia missione come autore di romanzi storici.

  • Sappiamo che sei laureato in giurisprudenza e sei un ricercatore di diritto europeo. Con una preparazione di questo genere, come è nata la decisione di raccontare, invece, di Storia?

Amo la Storia da quando ero un bimbo. Da quando lessi a sei anni l’Iliade. Il mio primo testo. E poi Shakespeare e Giulio Cesare, Senofonte e Schiller, Manzoni e Marlowe. Amo la Storia e la grande Letteratura. Il passato esercita su di me un fascino straordinario. Testi come quelli di Hobsbawm e Burckardt rappresentano una gioia assoluta per me. Credo che sia solo attraverso la lente della Storia che possiamo davvero comprendere il presente.

  • A tuo avviso, qual è la considerazione dei lettori italiani nei confronti del romanzo storico?

Credo sia ottima. “M, il figlio del secolo” di Antonio Scurati ha vinto il Premio Strega 2019. “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino ha vinto il Premio Campiello 2018. Il mio “I Medici, una dinastia al potere” ha vinto il Premio Bancarella 2017. Sono tre romanzi storici. Stefania Auci con “I leoni di Sicilia”, dedicato alla dinastia dei Florio, sta dominando le classifiche di vendita da mesi. Mi pare che il romanzo storico goda di ottima salute presso le lettrici e i lettori italiani. Io non posso che ringraziarli per la fiducia che accordano alle mie opere.

Un ringraziamento speciale a Matteo Strukul che riesce sempre a farmi volare sulle ali del tempo.

A cura di Deborah Fantinato

INTERVISTA

Due chiacchiere con gli autori: ALESSANDRO TROISI

Oggi voglio dare spazio ad un giovane scrittore, ALESSANDRO TROISI, che lo scorso maggio ha pubblicato il suo romanzo d’esordio con Newton Compton Editori, intitolato “La biblioteca del diavolo“, un romanzo storico incentrato sull’affascinante tema dell’Inquisizione.

Conosciamolo meglio.

A soli 22 anni hai vinto un concorso letterario che ti ha portato a pubblicare il tuo primo romanzo con una casa editrice molto importante nel panorama nazionale. Puoi raccontarci qualcosa di te? Come nasce la tua passione per la scrittura?

Di me non credo ci sia molto da dire: sono un ragazzo come tanti altri, amo i libri e il cinema, frequento l’università e sono parecchio smemorato e con la testa fra le nuvole. La mia passione per la scrittura è esistita da quando ho memoria: da bambino adoravo immergermi nei libri, smarrirmi fra le loro pagine, vivere le storie che raccontavano. Trovo meravigliosa la capacità dei libri di trasportare le persone altrove, in altri mondi, e ho sempre sognato di riuscire anch’io a essere come quegli autori che mi catturavano. Sin dalla scuola elementare trascorrevo moltissimo tempo a scrivere le storie a cui la mia immaginazione instancabile dava vita.

Perchè hai deciso di scrivere, come libro d’esordio, un romanzo storico?

In realtà, quando ho iniziato a scrivere la mia storia, non avevo idea che sabbe cresciuta fino a diventare un romanzo. Stavo scrivendo una storia dalle tinte gotiche, di cui però avevo in mente solo l’incipit (quello che tutt’ora apre il libro). Nello stesso tempo, mi documentavo sulla stregoneria e sulla caccia alle streghe, leggevo libri, guardavo documentari, affascinato da queste tematiche. Così ho avuto l’ispirazione di unire la mia ricerca alla storia che avevo iniziato. Ho quindi proseguito il mio racconto in questa direzione, ricercando la verosimiglianza storica, per esplorare le dinamiche e i significati di un evento come la persecuzione contro la stregoneria. Ho voluto in parte conservare le atmosfere gotiche della mia ispirazione iniziale. Il racconto è quindi cresciuto, mano a mano che scrivevo è divenuto più lungo e complesso, fino ad arrivare alla sua forma definitiva.

Quali difficoltà hai incontrato nella stesura de “La biblioteca del diavolo”?

Essendo il mio primo libro, ho trovato molto difficile la parte riguardante il lavoro ‘tecnico’ prima della pubblicazione. Infatti ho dovuto ricontrollare più volte tutto il testo del libro per adattarlo alle norme redazionali. C’erano tantissime cose, a livello di scrittura, di cui credevo di padroneggiare l’uso o che davo per scontate, ma non era così. Fortunatamente ho avuto una grande editor al mio fianco, che mi ha seguito e istruito in proposito.

Il tuo romanzo tratta l’argomento dell’Inquisizione ed, in particolare, della caccia alle streghe. Cosa ti ha spinto a concentrarti su questo tema e quanto studio preparatorio si è reso necessario?

La caccia alle streghe è un fenomeno che ha segnato in modo indelebile la nostra storia, tanto che l’espressione “è una caccia alla streghe” è divenuta proverbiale, indica un atto persecutorio violento e profondamente ingiusto. Ho sempre creduto che sia molto importante studiare questo fenomeno, soprattutto per indagare le motivazioni da cui ebbe origine, per comprenderle ed evitare che qualcosa del genere possa ripetersi, in futuro. Putroppo negli studi scolastici l’argomento viene trattato in modo marginale, se non addirittura ignorato. Credo, invece, che lo studio di queste persecuzioni possa aiutare a riflettere su molti problemi ancora attuali: le dinamiche di potere, quelle di genere, l’oppressione e l’emarginazione degli individui considerati diversi e, di conseguenza, pericolosi. C’è stato anche un fattore personale che mi ha sempre spinto a interessarmi e a voler approfondire questa tematica: una mia nonna, stando a quanto si dice, era considerata una strega. Lo studio è stato molto, proprio perchè sono partito sostanzialmente da zero: ho dovuto fare un gran lavoro di ricerca, ma ne è valsa la pena!

Stai già preparando un nuovo libro?

Al momento non ho ancora iniziato un nuovo libro, ma ho tanti progetti in mente e spero di potermi mettere al lavoro al più presto. Vi terrò aggiornati!

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REVIEW PARTY: La cacciatrice di storie perdute

In uscita oggi il nuovo romanzo di Sejal Badani, intitolato “La cacciatrice di storie perdute”, edito da Newton Compton Editori.
La protagonista è Yaja, una giornalista americana di origine indiana che vive un periodo di profonda crisi esistenziale.
La maternità negata, il matrimonio spezzato, un rapporto inesistente con la madre, spingono Yaja nello sconforto e la inducono ad affrontare un viaggio in cerca di risposte sul suo passato e sulla sua famiglia. Risposte che arrivano da un passato lontano, ma che le daranno la forza di superare il presente e vivere il futuro che l’attende.
Un tuffo nella civiltà e nella cultura indiana, alla ricerca delle proprie origini, celate da una famiglia che vuole dimenticare.
In India, Yaja scoprirà la vera storia della nonna materna Amisha che non ha mai conosciuto e della quale non sa nulla. Una donna forte e determinata che ha sempre tentato di spingersi oltre i limiti imposti dalla cultura indiana per inseguire i propri sogni. Una donna che ha sognato e vissuto un amore impossibile, osteggiato dalla propria condizione in un paese che, per usi e tradizione, non le concede il diritto di scegliere l’uomo da amare e che non le da voce in capitolo sulla propria vita.
Il racconto di tre donne legate da un legame di sangue che si intrecciano nell’esplorazione della cultura e della tradizioni indiane, affrontando il presente e anche il passato, attraverso la storia e le usanze dell’India.
Amisha, Yaja, nonna e nipote.. le loro voci si intrecciano nell’alternanza del racconto, in un romanzo tutto al femminile, che induce il lettore a riflettere sulla vita delle donne e sui problemi che le affliggono, a prescindere dal luogo e dal tempo.
Ma è anche il racconto delle scontro tra culture e mondi molto differenti e di sentimenti che vanno oltre le tradizioni, oltre le differenze.
Un viaggio attraverso le fragilità di un popolo, che permette alla protagonista di osservare la vita da un altro punto di vista e al lettore di conoscerne e comprenderne limiti e imposizioni.