Fatti storici

La congiura dei Pazzi. Parte 2

Eccomi alla seconda tappa del progetto dedicato alla Congiura dei Pazzi, ossia l’attentato alla vita di Lorenzo de’ Medici, avvenuto nell’aprile del 1478, che provocò la morte del fratello Giuliano. Nel primo articolo dedicato a questa vicenda, avevo parlato dell’evento in sé, mentre questa volta voglio dedicarmi al coinvolgimento nel complotto di un personaggio di grande rilievo: Federico da Montefeltro, duca di Urbino.

Per raccontare questo aspetto, ho letto “L’enigma Montefeltro” di Marcello Simonetta, che ripercorre tutta la vicenda, illustrando anche cause e conseguenze della congiura.

Nella seconda metà del XV secolo, Federico da Montefeltro era il più grande condottiero e capitano di ventura, ingaggiato dai più potenti Signori.

La sua amicizia con Lorenzo de’ Medici nacque nel 1472, quando l’urbinate fu assoldato da Firenze nella guerra contro Volterra, che non voleva condividere le miniere di allume.

Dopo pochi anni, però, il Montefeltro maturò un’acredine nei confronti del fiorentino che si sviluppò di pari passo con quella tra quest’ultimo e papa Sisto IV, che prese le mosse dal rifiuto del Medici al prestito chiesto dal Papa per l’acquisto della città di Imola, nel 1473. Tale diniego da parte della Banca che aveva in gestione i conti dello Stato Pontificio, costrinse il Papa a rivolgersi ad un’altra banca fiorentina, diretta concorrente di quella medicea: quella dei Pazzi, gestita da Jacopo e Francesco Pazzi, uomini molto ambiziosi e desiderosi di rimpiazzare i Medici come signori di Firenze e come banchieri papali.

L’anno successivo, un altro evento significativo creò un’ulteriore crepa nei rapporti tra Sisto e Lorenzo: la questione di Città di Castello. Dopo l’espansione del dominio ecclesiastico su Imola, alcune città iniziarono a ribellarsi e la prima a farlo fu proprio Città di Castello. Il Papa mandò suo nipote, il cardinale Giuliano della Rovere, ad assediare la città, il quale però non vi riuscì soprattutto a causa dell’appoggio che il capo della ribellione Nicolò Vitelli riceveva da Lorenzo de’ Medici, che percepiva l’iniziativa di Sisto come un’aggressiva interferenza nel controllo dell’Italia centrale. Il Papa ritenne il comportamento del Medici come un offensivo tradimento e, nell’agosto del 1474, chiamò il Montefeltro per dirimere la questione. Egli marciò sulla città, che si arrese immediatamente, probabilmente per evitare la stessa sorte di Volterra. Quando ciò accadde, Federico era appena stato nominato duca da Sisto con una cerimonia molto simbolica, che evocava il potere della Chiesa di mettere l’arma della giustizia nelle mani del potere secolare.

Un potere che il nuovo duca di Urbino prese molto seriamente, tanto che iniziò a vedere Lorenzo come un nemico potenziale del Papa, da distruggere. Il suo obiettivo divenne il rovesciamento del regime mediceo su Firenze. Con i rapporti rovinati tra Sisto IV e Lorenzo de’ Medici, Federico da Montefeltro si schierò apertamente con il pontefice, tanto da dare in sposa una delle sue figlie al nipote del Papa, Giovanni della Rovere.

Alla fine di quell’anno così teso, arrivò anche lo “schiaffo morale” da parte del Montefeltro nei confronti del Magnifico, allorchè quest’ultimo chiese un cavallo per la giostra del 1475: il duca rispose che lo aveva già dato ad un membro della famiglia Pazzi.

In quei mesi, l’odio del duca di Urbino nei confronti di Lorenzo crebbe tanto da mettere in guardia anche Cicco Simonetta, il quale intercettò una lettera del Montefeltro in cui scriveva che il re di Napoli avrebbe dovuto cacciarlo da Firenze o farlo tagliare a pezzi. Il suo intento era quello di usare tutto il suo peso politico per mettere in difficoltà il Medici davanti alla corte di Napoli.

Una nuova frattura nei rapporti tra Montefeltro e Medici si creò all’indomani della morte del duca di Milano Galeazzo Sforza, alla fine del 1476. In quell’occasione, Cicco Simonetta, braccio destro del defunto duca e nuovo reggente del ducato, chiese aiuto a Federico per rinsaldare il potere ducale su Milano, ma Lorenzo lo impedì nel timore che la garanzia militare e politica del condottiero diminuisse l’influenza che aveva sulla città in virtù del rapporto di grande amicizia che lo legava a Galeazzo, e favorì il suo diretto concorrente, Ludovico Gonzaga.

Federico, così, iniziò a screditare la figura del Magnifico agli occhi di Milano, nel tentativo di portare il Simonetta dalla parte del re di Napoli, al fine di indebolire la lega tra Milano, Firenze e Venezia. Infatti, Urbino si trovava proprio al centro tra due alleanze: da una parte la Lega citata e dall’altra l’asse Napoli e Stato Pontificio; Federico serviva entrambe in qualità di mercenario.

Una prova del coinvolgimento del duca di Urbino nella congiura, la diede, a fatti avvenuti, proprio il soldato Gian Battista Conte di Montesecco (assoldato dai congiurati per uccidere Lorenzo), quando, al momento della confessione prima di essere giustiziato, riportò la conversazione avuta con Riario e Salviati, il quale gli disse che fuori Firenze avevano il favore del duca. Nella stessa confessione si evince anche che il primo a voler la morte dei fratelli Medici, oltre a Riario e Salviati, era proprio Papa Sisto IV.

Quest’ultimo, infatti, sigillò con Montefeltro il patto per l’eliminazione dei Medici attraverso un dono, una catena d’oro, regalata al figlio del duca, Guidobaldo, con un significato ben preciso: Sisto, dopo aver conferito a Federico il titolo ducale, riconosceva così la legittimità dinastica dei Montefeltro, che in questo modo ricevevano l’investitura ecclesiastica per le generazioni future. Questo rapporto tra papa e duca ben chiarisce quale fosse la convenienza del Montefeltro nel sostenere il papato e la congiura contro Lorenzo.

Una prova ulteriore la diede proprio il duca di Urbino, in una lettere inviata a Cicco Simonetta pochi giorni dopo l’attentato, quando si sparse la voce che il conte Montesecco aveva confessato, nella quale fu chiaro quanto fosse coinvolto.

Tuttavia, quando aveva accettato di contribuire al complotto, Federico lo aveva fatto contando di diventare il “salvatore di Firenze”, in quanto credeva nel sostegno popolare del partito antimediceo, che avrebbe permesso alle sue truppe di entrare in città facilmente, senza spargimenti di sangue. Ma non andò così, pertanto, quando poco tempo dopo si presentò un’altra occasione di assediare Firenze, egli rifiutò. Ciò avvenne perché il Montefeltro avrebbe voluto liberare la città da Lorenzo, ma senza metterla a ferro e fuoco, come era accaduto a Volterra. Non voleva risultare agli occhi del popolo come un invasore e, per questo, si oppose ad un sacco della città, mantenendo però salda la volontà di rovesciare il regime di Firenze minando l’autorità di Lorenzo dall’esterno.

Ma il Rinascimento è stata un’epoca nella quale le alleanze e gli equilibri politici furono quanto mai fragili e volubili e ben presto Federico da Montefeltro si accorse che l’odiato Medici rappresentava il male minore. Solo un anno dopo la congiura, infatti, un altro pericolo iniziò ad aleggiare sulla sua città: la sfrenata ambizione del conte Girolamo Riario. Così il duca di Urbino si trovò a trattare proprio con Lorenzo per frenare Riario che ambiva a diventare l’uomo più influente della penisola: se Firenze avesse perso potere, tutta l’Italia centrale sarebbe stata in balia del papato e Urbino avrebbe potuto diventare la prima facile preda del Papa; la legittimazione dei Montefeltro dipendeva proprio da Sisto, il quale avrebbe potuto revocarla in qualsiasi momento.

E questo suo voltafaccia nei confronti di Sisto IV si palesò all’indomani della pace siglata a Napoli da Lorenzo nel 1479: il Papa reputò Federico regista occulto di un accordo di pace che non teneva in considerazione gli interessi della Chiesa e lo iscrisse nel suo libro nero. Federico da Montefeltro, fino a poco tempo prima paladino degli interessi del Papa, nel 1482 smise di essere condottiero della Chiesa; Sisto non rinnovò il suo contratto.

La ritrovata interessata amicizia con il Magnifico provocò una spaccatura profonda tra Federico e i suoi precedenti complici, Sisto IV e Riario. Lorenzo, ormai armai alleato del re di Napoli e del nuovo duca di Milano, Ludovico il Moro, offrì al Montefeltro un contratto d’oro per la difesa della città di Ferrara, entrata nelle mire di Girolamo Riario. Gli equilibri erano cambiati ancora una  volta e Roma era spalleggiata da Venezia.

Ma poco importò per Federico da Montefeltro che morì di malaria all’età di sessant’anni nelle paludi ferraresi proprio mentre si trovava nel mezzo della difesa di Ferrara dall’assedio di Venezia, forse pentendosi di essersi allontanato dal Papa e dalla Chiesa proprio poco prima di morire.

Tutto questo e molto di più lo potete trovare ne “L’enigma Montefeltro” di Marcello Simonetta, un saggio molto approfondito che spiega e racconta molte vicende del primo Rinascimento. Una lettura davvero appagante e intrisa di informazioni importanti per tutti gli appassionati di Storia.

Vi aspetto alla prossima tappa in cui vi racconterò come cambiò per sempre Lorenzo il Magnifico dopo il terribile attacco in Santa Maria del Fiore.

Federico da Montefeltro nel ritratto di Piero della Francesca
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Fatti storici

La Congiura dei Pazzi. Parte 1

Nella storia di Firenze c’è un avvenimento che attira molto la mia curiosità, la Congiura dei Pazzi. Ho così deciso di dedicarmi alla lettura di tre saggi che affrontano questo argomento: il volume “Giuliano de’ Medici” della collana del Corriere della Sera “Grandi delitti nella Storia”, “La congiura. Potere e vendetta nella Firenze dei Medici” di Franco Cardini e Barbara Frale e “L’enigma Montefeltro” di Marcello Simonetta. Dopo la lettura di ognuno di questi testi, vi racconterò un aspetto diverso legato alla vicenda, partendo dal racconto del fatto, passando dal ruolo di Federico di Montefeltro nel complotto, per arrivare al cambiamento della personalità di Lorenzo de’ Medici in seguito alla morte del fratello. Ho iniziato dal volume “Giuliano de’ Medici”, un piccolo saggio che ripercorre motivazioni ed esecuzione della congiura e dà una panoramica sulla famiglia Medici. Da questa lettura, vi racconto il fatto.


Il complotto passato alla Storia come Congiura dei Pazzi nacque da un gruppo di personaggi i quali avevano, ognuno, una motivazione differente per desiderare la fine del dominio della famiglia Medici su Firenze. Era indubbio, infatti, il grande potere del Magnifico, che, nonostante fosse amato e acclamato dal popolo, stava stretto a molte persone, dentro e fuori la città.
Vi era, in primis, una fazione fiorentina anti Lorenzo capitanata dalla famiglia Pazzi; poi Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, a cui era stato negato l’ingresso nella città; Papa Sisto IV che, fin dai contrasti sorti con Lorenzo sulla questione di Città di Castello, aveva creato una spaccatura nei rapporti con il Magnifico; e, infine, Girolamo Riario, nipote del Papa, che vedeva Firenze come una possibile conquista per allargare i propri domini. Ad essi, si aggiunsero una serie di personaggi minori, che furono anche autori materiali dell’omicidio. Inoltre, pare abbia avuto un ruolo in questa vicenda anche il padrino di battesimo di Lorenzo, Federico da Montefeltro.
Questo complotto culminò nell’assassinio del fratello minore di Lorenzo, Giuliano, appena venticinquenne, perpetrato nella basilica di Santa Maria del Fiore, a Firenze, al termine della messa pasquale, il 26 aprile 1478. Un delitto terribile sfociato nella blasfemia, consumato in un luogo sacro e durante la più importante funzione cattolica, al cospetto di Dio.
Tuttavia, questo aspetto sacrilego fu la salvezza di Lorenzo. Infatti, il primo obiettivo dei congiurati, che mirava al rovesciamento della fazione medicea e all’annientamento della cripto signoria che si era formata,  era proprio il Signore de facto di Firenze. Incaricato del suo omicidio era il condottiero marchigiano Giovanni Battista Conte di Montesecco, il quale, una volta appreso che, in ultimo, l’agguato si sarebbe tenuto in una chiesa, si rifiutò, lasciando il compito a due inesperti.
I congiurati, infatti, avevano una sola certezza: entrambi i fratelli dovevano essere eliminati fisicamente, altrimenti, alla morte del solo Lorenzo, Giuliano, anch’egli molto amato dal popolo e capace forse più del fratello, avrebbe assunto le redini della Signoria.
Così, in principio, l’omicidio fu previsto in occasione di un viaggio di Lorenzo a Roma, che però venne rimandato; successivamente si decise per due banchetti, ai quali però Giuliano non presenziò. Infatti, in quel periodo, difficilmente i due fratelli si presentavano insieme in pubblico, forse proprio perché doveva essere trapelata qualche notizia di un’intesa segreta ai loro danni. Fin dall’inizio dell’organizzazione, quindi, circa un anno prima dell’esecuzione, si rivelò un piano approssimativo, continuamente rimaneggiato a causa dei continui impedimenti.
Anche la decisione di agire durante la messa rischiò di risultare vana, in quanto Giuliano non si presentò nemmeno quella volta. Ma Francesco de Pazzi decise di andare a prenderlo a casa e accompagnarlo in chiesa a funzione iniziata, trascinato tra motti scherzosi e infidi abbracci (volti a verificare l’eventuale utilizzo di protezioni) proprio dai suoi sicari.
I due fratelli ascoltarono la messa a ridosso dell’ottagono che corre intorno all’altare maggiore, uno sul lato destro e uno sul lato sinistro, come erano soliti fare proprio per ridurre il rischio di attentati.
Al termine della liturgia, proprio nel momento in cui l’officiante, che quel giorno era il sedicenne neo cardinale Raffaele Riario, nipote del Papa, pronunciò l’Ite missa est, Bernardo Bandini Baroncelli e Francesco de Pazzi estrassero il pugnale e colpirono il povero Giuliano. Contemporaneamente, Antonio Maffei da Volterra e Stefano da Bagnone si avventarono contro Lorenzo, che riuscì a salvarsi proprio grazie all’inesperienza dei due, che lo colpirono soltanto di striscio, permettendogli, così, di nascondersi nella sagrestia insieme ad alcuni amici e sostenitori.
Giuliano, invece, fu massacrato dalle 19 coltellate inferte con estrema ferocia da Francesco de Pazzi, il quale, nella foga, si ferì ad una gamba. Fu lasciato a terra, in una pozza di sangue, mentre i presenti scappavano e scortavano Lorenzo, ancora ignaro della sorte dell’amato fratello, nel palazzo di famiglia in quella che era Via Larga, oggi via Cavour.
Questo evento ebbe l’effetto opposto a quello perseguito dai congiurati: il popolo di Firenze si strinse intorno al suo Signore, scagliandosi contro gli esecutori del delitto e accrescendo così il potere di Lorenzo che, in quel momento decisivo, venne sancito e ribadito con la forza di un patto di sangue.
Mandanti ed esecutori materiali subirono la violenta e spietata vendetta del Magnifico. Vennero catturati, torturati e condannati alla pena capitale; i ritratti dei loro corpi impiccati vennero commissionati a Sandro Botticelli e dipinti secondo il canone delle pitture infamanti.
In questo modo, Lorenzo aprì anche una vendetta contro Papa Sisto IV, che sfociò in una guerra che si concluse con una pace siglata dal pontefice il 13 marzo 1479.
Da quel momento, però, nonostante fosse riuscito a vendicare la morte di Giuliano, Lorenzo cambiò per sempre. Ma di questo vi parlerò nei prossimi articoli.

A cura di Deborah Fantinato

Giuliano de’ Medici in un ritratto di Sandro Botticelli
Romanzo storico

L’amore del Magnifico

Nella Firenze della seconda metà del ‘400, due giovani si amano profondamente, pur essendo consapevoli che il loro sentimento non potrà mai vedere la luce del sole: sono Lorenzo de Medici e Lucrezia Donati.
I doveri di entrambi, infatti, li legano ad altre persone: Lorenzo è costretto a sposare Clarice Orsini, mentre Lucrezia va in sposa a Nicolò Ardinghelli.
Ma questi matrimoni saranno sufficienti a spegnere il fuoco che divampa tra i due protagonisti?
Sullo sfondo del rinascimento fiorentino, si svolgono passioni, dolori e intrighi intorno a Lorenzo e Lucrezia, che vengono circondati da una moltitudine di illustri personaggi che animano la loro vicenda.
Questa è la trama di “Io che ho amato il Magnifico” di Annalisa Iadevaia, edito da IoMeloLeggo Editore.
Un romanzo che ha per protagonista l’amore tra Lorenzo il Magnifico e Lucrezia Donati, una storia che, sebbene sia basata su fatti e personaggi storici, è interamente frutto della fantasia dell’autrice.
Nonostante una penna ancora un po’ immatura, Annalisa Iadevaia è riuscita a creare una trama originale e gradevole attorno a figure storiche spesso oggetto dell’attenzione degli scrittori.
Sebbene sia presente una certa confusione verbale che disorienta la lettura circa il tempo della narrazione, il racconto risulta piacevole e la trama ben organizzata, con interessanti colpi di scena che appassionano il lettore. Si denota anche una buona caratterizzazione dei personaggi, in particolare delle donne che circondano la figura del Magnifico.
L’abilità dell’autrice permette di percepire le emozioni dei protagonisti e di immedesimarsi in essi, rendendo coinvolgente la lettura.
La mancanza di totale attinenza alla realtà storica non penalizza il racconto, che riesce nell’arduo compito di appassionare il lettore fino all’epilogo. Infatti, l’idea dell’autrice di inserire nella storia personaggi estranei alla reale vicenda sottesa (come Leonardo da Vinci, Girolamo Savonarola, Simonetta Vespucci) dona un tocco di originalità che permette al romanzo di distinguersi nel vasto panorama di libri dedicati alla figura di Lorenzo de Medici.
Un romanzo che, tra passioni, sofferenze, amori negati e indesiderati e complotti, è capace di trasportare il lettore un’altra dimensione, permettendo anche il più accanito lettore di romanzi storici di superare i propri limiti.