
Per i figli cadetti nati nell’Inghilterra di inizio Trecento, in un’epoca che non era più quella della cavalleria di Guglielmo il Maresciallo, la strada più comune era quella delle armi. Dovevano imparare il mestiere del soldato, iniziando come scudieri, paggi o soldati di condottieri e aspettando di mettersi in mostra in qualche occasione per diventare uomini d’arme. Da questo momento potevano mettersi sul mercato, arruolare soldati e mettere la loro spada al servizio del miglior offerente.
Ed è ciò che fece John Hawkwood, ribattezzato Giovanni Acuto dai fiorentini, colui che divenne uno straordinario condottiero per moltissimo tempo al soldo della Signoria di Firenze. Quando iniziò la sua carriera, era in corso la Guerra dei Cent’anni, tra Inghilterra e Francia. È proprio in Francia, dai primi anni Quaranta del Trecento, che Giovanni combatté, terminando il suo apprendistato. Ma nel 1360 finì la prima parte della guerra e iniziò un periodo di pace, in cui i soldati dovettero riorganizzarsi per sopravvivere.
Nel frattempo, la struttura dell’esercito basato sulla fedeltà vassallatica e incentrato sulla cavalleria era entrato in crisi. Già nel Duecento, in Inghilterra i vassalli rifiutavano la dignità cavalleresca per non essere tenuti agli obblighi militari. In Francia, invece, i vassalli seguivano il signore solo entro in confini del feudo; oltre questo limite esigevano si essere rimborsati di tutte le spese. In Italia, soprattutto nelle zone in cui i Comuni crescono più velocemente, le compagnie cittadine (formate in prevalenza da cittadini che avevano più confidenza con gli strumenti dei loro mestieri che con le armi) non erano sufficienti a condurre guerre di conquista. Per questo, le milizie vennero integrate con soldati di professione. E questa professione poteva essere una soluzione per tanti, soprattutto durante la crisi economica di fine Duecento. Fu in questo contesto sociale che i soldati come Giovanni facevano fortuna, formando bande di soldati-avventurieri (mercenari), pronti a offrire il proprio lavoro a quanti avessero bisogno di soldati. Quella a cui Hawkwood si unì era la Compagnia Bianca.
I soldati di professione erano presenti negli eserciti già in pieno Medioevo, dove venivano ingaggiati con contratti a termine che si concludevano nel momento in cui finiva la guerra per cui erano stati assunti. In Italia, a loro ricorrevano i Comuni e il podestà, che aveva bisogno di una forza di polizia stabile. Un’accelerazione al fenomeno lo diedero le vicende dei guelfi e dei ghibellini nella seconda metà del XIII secolo. Ovviamente, ciò non significa che gli eserciti erano formati solo da mercenari, però erano loro a fare la differenza. Ad essi ricorrevano anche i sovrani d’Europa che, fino al Duecento, assoldavano il singolo uomo con i suoi collaboratori, mentre dalla metà del secolo si avvalsero di un tecnico, il conestabile, per trovare le truppe. Egli reclutava contingenti che oscillavano tra i venticinque e i cento soldati, per poi passare a intere compagnie di centinaia di uomini nel Trecento. Un altro fattore che contribuì a professionalizzare i soldati fu l’introduzione di nuove armi, l’arco e la balestra, che richiedevano una specializzazione nel loro uso e che trasformarono le tecniche di combattimento. Infatti, fino a quel momento i cavalieri (che costituivano la maggioranza degli eserciti) avevano dovuto difendersi solo dai colpi ravvicinati di spada, mazza e lancia, mentre ora dovevano riorganizzare le armi di difesa per le frecce che arrivavano da lontano e avevano una diversa capacità di perforazione. Questo comportò l’inspessimento di scudi e corazze, la formazione di una leva più robusta e una forma di combattimento più lenta.
La figura centrale della compagnia era il condottiero, ossia il comandante, al quale i soldati erano legati da vincoli di dipendenza, ma anche di fiducia e fedeltà. Era il condottiero (che, nella maggior parte, proveniva da famiglie aristocratiche) a reclutare i guerrieri, ognuno con il proprio reparto di armati. Sul loro operato, vigilava colui che li aveva ingaggiati, ossia il signore o un organismo apposito, come gli Ufficiali della Condotta a Firenze o i Savi della Terraferma a Venezia. Spesso il soldato mercenario è ricondotto a stereotipi, che però sono da rivedere. Primo fra questi, l’immagine dei soldati che, nelle città in cui passano, lasciano solo tracce sgradevoli. Ciò non era sempre vero, in quanto molti di loro si legavano alle città nelle quali passavano più tempo, ad esempio sposando ragazze del posto o facendo erigere chiese. Un altro stereotipo è quello del rapporto tra soldati e popolazione locale, le cui testimonianze sono sempre negative, come i soldati di Francesco Sforza che avevano l’abitudine di mangiare e bere senza pagare nelle osterie. Ma la presenza di un esercito significava anche circolazione di denaro e, soprattutto, guadagno sicuro per chi prestava loro soldi. Spesso i soldati finivano nel giro dell’usura oppure impegnavano armi e cavalli per avere contante. Inoltre, alcuni di loro investivano i guadagni presso uomini d’affari locali. Pertanto, nonostante sia indubbio che tra le file degli eserciti ci fossero uomini di bassa moralità e delinquenti abituali, la figura del soldato di professione non può essere ricondotta a stereotipi assoluti.
Ma come era strutturata una compagnia? Iniziamo col precisare che, nel momento in cui il condottiero accettava la condotta, non sempre aveva a disposizione gli uomini necessari. Doveva quindi procedere con l’arruolamento che poteva avvenire contattando soldati con cui aveva già combattuto, con l’unione a compagnie più piccole guidate da altri condottieri, con l’arruolamento per strada oppure ancora convincendo mercenari prigionieri di altre compagnie o sottraendo soldati al nemico in difficoltà economica. Detto ciò, la compagnia era formata da un insieme di piccole cellule. Un esempio utile è quello della compagnia di Michelotto degli Attendoli, della prima metà del Quattrocento. Vi erano 561 lance, che corrispondevano a 1129 combattenti e 561 paggi, e 104 cavalli (ossia singoli combattenti), per un totale di 1229 cavalieri, integrati da 177 fanti. Questo contingente era diviso in 87 squadre eterogenee e ognuna di esse era divisa in gruppi di lance, per un totale di almeno 167 uomini di comando (quindi un comandante ogni 6 uomini). Oltre agli uomini d’arme, la compagnia era formata anche da amministratori e contabili, necessari per amministrare le spese anticipate che il condottiero si accollava per l’equipaggiamento dei suoi uomini. Inoltre, vi era la casa, formata dai più stretti commilitoni e dai famigli del comandante, i quali, però, non seguivano gli spostamenti della compagnia, ma operavano in una sede fissa. Invece, si spostavano con i soldati tutte quelle figure che servivano a garantire un livello di quotidianità accettabile alle truppe: servi, cuochi, buffoni, medici, religiosi, prostitute, barbieri, sellai, mulattieri, corrieri, garzoni di stalla, fornai, ecc. Il comandante aveva, inoltre, giurisdizione piena sui suoi uomini (legibus soluti), sui quali amministrava la giustizia, con premi e punizioni. Quindi, ad eccezione di qualche rara occasione, non erano le magistrature della signoria committente a far valere la legge tra i soldati.
Uno dei problemi più fastidiosi per chi ingaggiava le compagnie era il loro costo, molto ingente, che spesso veniva sostenuto grazie all’introduzione di nuove tasse. Infatti, chi si rivolgeva ai mercenari, in genere, si impegnava a corrispondere la paga in denaro e gli anticipi per cavalli, armi e armature, a indennizzare i cavalli morti o feriti e a riscattare eventuali prigionieri. Ma in Europa del Duecento Trecento e Quattrocento, i mercenari erano indispensabili. È interessante osservare, ad esempio, i patti del 1390 tra Giovanni Acuto e Firenze per capire come funzionasse il loro ingaggio. Essi prevedevano una ferma annuale, con diritto di opzione per un altro anno; il condottiero si impegnava a svolgere le operazioni di guerra e una serie di servizi di guardia e sicurezza in città. Alla fine della condotta, il comandante prometteva di non combattere contro Firenze per due anni in proprio o per sei mesi al servizio di un altro capitano (clausola comune, ma spesso non rispettata). Una forma di ingaggio che si sviluppò nel Trecento, è il soldo d’attesa: in tempo di pace, i soldati ricevevano una paga ridotta ma si tenevano a disposizione in caso di necessità. Durante l’attesa, il condottiero era libero di far combattere i suoi soldati per altri committenti fino a che non fossero richiesti dal primo. Quanto alla durata dell’ingaggio, inizialmente era prevista per qualche mese, per poi allungarsi a un anno di ferma con un anno di rinnovo, sviluppando il fenomeno per il quale, molto spesso, i condottieri si legavano allo Stato che li aveva ingaggiati. Il soldo era ovviamente integrato dal bottino, dato che i soldati avevano libertà di commettere ruberie, estorsioni e chiedere riscatti. Alle paghe (che poteva essere sostituita, in caso di difficoltà del committente, da altri generi, come stoffa, sale, gioielli…), inoltre, si univano spesso privilegi, come esenzioni fiscali o lasciapassare.
Come combattevano le compagnie? Tra Duecento e metà Trecento in Italia, si usavano i corpi di cavalleria, fanti e balestrieri. Fanti e balestrieri formavano il reparto d’appoggio per la cavalleria, decisiva per lo scontro, che in genere consisteva in una serie di urti successivi di cavalieri. Nel Trecento, però, le modalità di battaglia si modificarono, dando sempre più spazio alla fanteria, che smise di essere carne da macello per diventare un reparto decisivo. Ma, durante le battaglie, mercenari erano davvero spietati? La risposta è no. Erano feroci e spietati con le popolazioni che subivano i loro soprusi, ma contro i nemici si dimostravano coraggiosi e determinati, mai spietati. E ciò perché quei professionisti nemici sarebbero potuti diventare loro alleati o parte della stessa compagnia. Pertanto, il nemico doveva essere sconfitto ma non distrutto, perché i soldati erano una risorsa da gestire nel migliore dei modi.
Come detto in precedenza, alla fine del Trecento le compagnie iniziarono a cambiare, in quanto si legarono sempre più agli Stati. Ma anche la figura del condottiero cambiò, che da avventuriero si trasformò in gentiluomo. Questo avvenne anche perché spesso i condottieri ricevevano come pagamento la concessione di terre su cui, in alcuni casi, esercitavano una signoria. Un bel modo per trasformare i condottieri in fedeli sudditi del signore che li aveva ingaggiati.
Giovanni Acuto proprio il prototipo di questo cambiamento.
Il contesto italiano nel quale approdò a Firenze era caratterizzato da un’estrema dinamicità politica, soprattutto al centro-nord, dove le protagoniste erano Verona, Milano e Venezia. La politica aggressiva del signore di Verona, Mastino della Scala, preoccupava Venezia che nel 1363 stipulò un’alleanza con Firenze. Ma quando Giovanni Visconti, signore di Milano, conquistò Bologna, Firenze iniziò a consolidare la sua posizione in Toscana. Ma la minaccia del pericolo derivante da Milano non fece passare in secondo piano le rivalità tra le città toscane e quando Pisa, nel 1365, chiuse il porto ai fiorentini si aprì una ghiotta occasione per i soldati in cerca di ingaggio. Quando la Compagnia Bianca arrivò in Toscana, fu contesa tra Pisa e Firenze. Il comandante scelse i quaranta mila fiorini offerti dalla prima, nella guerra contro Firenze. A un certo punto dell’ingaggio, però, buona parte della Compagnia abbandonò Pisa per passare dalla parte di Firenze che aveva fatto un’ulteriore ghiotta offerta. Giovanni Acuto non seguì i suoi compagni e rimase con Pisa, decretando così il distacco dalla Compagnia Bianca. Dopo Pisa, combatté al soldo di Bernabò Visconti, di papa Urano V e di Padova. Nel 1387, approdò a Firenze e vi restò in modo definitivo, fino alla sua morte, attuando quel cambiamento che vide i condottieri legarsi sempre più spesso a una sola città.