
Il celebre film Il gladiatore di Ridley Scott racconta di come il generale romano Massimo Decimo Meridio, dopo essere scampato alla condanna a morte da parte dell’imperatore Commodo, riesca a tornare a Roma per vendicarsi, in veste di gladiatore acclamato dal popolo. Dalla pellicola intuiamo che i gladiatori erano uomini che non potevano sottrarsi a quel destino. In realtà, a Roma, quella del gladiatore poteva una scelta, che portava grande fama, proprio come nel caso dell’auriga, che correva nel Circo Massimo.
I giochi gladiatorii si diffusero a Roma in epoca repubblicana, tra la fine del IV e l’inizio del III secolo, accanto ad altre due forme di divertimento popolare, le corse dei carri e il teatro. Tre forme di intrattenimento organizzate e offerte dallo Stato. Tuttavia, i primi combattimenti tra gladiatori erano di natura privata. Riguardavano, infatti, le cerimonie funebri in onore di personaggi importanti, a cui i parenti volevano facilitare il passaggio nel regno dei morti e che volevano, al contempo, dimostrare ricchezza, prestigio e potere. Nel corso del II secolo a.C., però, questa pratica si trasformò in un potente mezzo per ottenere il favore popolare. Le famiglie dell’alta società romana, infatti, iniziarono a investire in questi spettacoli quantità sempre maggiori di tempo e denaro. Nel 42 a. C., la sottile linea di separazione tra i ludi organizzati dallo Stato e quelli privati venne meno. In un momento di preoccupazione per le sorti della Repubblica si pensò che le corse dei carri non fossero più sufficienti a rendere propizi gli dèi, così vennero sostituiti con i combattimenti tra gladiatori. Da quel momento, vennero organizzati a spese di Roma, anche se ancora mancava un luogo adatto a questi giochi, che si svolgevano al Foro Romano. A far costruire un anfiteatro apposito (imitato in altri luoghi dell’Impero), ci pensò l’imperatore Vespasiano: nell’80 d.C., nacque l’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come il Colosseo, e gli spettacoli dei gladiatori diventarono ancora più popolari.

Ma come si diventava gladiatori?
Attraverso l’addestramento nei ludum gladiatorum, le scuole per gladiatori, gestite dai maestri privati, i lanisti. Nell’Impero ce n’erano oltre cento, ma le più importanti erano le quattro scuole di Roma, tutte posizionate nei pressi del Colosseo e gestite dai procuratores dell’imperatore. La più grande tra questa era il ludus magnus (i cui resti sono ancora visibili), direttamente collegata al Colosseo. Poi vi erano il ludus dacius, per l’addestramento dei Daci, il ludus gallicus, dove si addestravano i Galli, e il ludus matutinus, dedicato ai gladiatori che combattevano contro gli animali feroci, i venatores e i bestiarii.
Erano tre le tipologie di uomini che si potevano trovane nei ludus. Innanzitutto, i prigionieri di guerra, poi gli schiavi condannati per reati gravi, come omicidio, avvelenamento o profanazione del tempio (paradossalmente, in questo modo, veniva loro offerto un modo per riscattarsi, dato che potevano anche comprarsi la libertà con i guadagni dei combattimenti), e uomini liberi che si arruolavano volontariamente, perché attratti dalle forti emozioni e dai guadagni. Questi ultimi erano soprattutto soldati in congedo che faticavano a tornare alla vita cittadina oppure uomini che non avevano di che vivere, dato che l’essere parte della scuola garantiva vitto, alloggio e cure mediche. Si può dire che, dal I secolo, gli uomini liberi costituivano la metà dei gladiatori. Tra questi, vi erano anche figli di senatori e cavalieri che, per qualche ragione, erano divenuti pecore nere delle famiglie. Inoltre, ci sono stati anche diversi imperatori che hanno vestito i panni del gladiatore, come l’imperatore Commodo. Fino al 200 vi furono anche gladiatrici, i cui combattimenti vennero poi vietati perché considerati un insulto alle virili virtù militari.
Oltrepassata la soglia della scuola, l’aspirante gladiatore veniva esaminato da un medico che ne analizzava fisionomia e personalità. Erano ammessi solo gli uomini che risultavano adatti all’arena. Superato l’esame, veniva sottoposto all’addestramento e a ripetuti esami da parte dei medici che li affiancavano. Il gladiatore rappresentava, infatti, un investimento per il lanista, che quindi aveva interesse a che si mantenesse in salute. Il gladiatore veniva affidato a uno speciale allenatore, di solito un ex gladiatore, ed era assegnato a una particolare arma, scelta dal lanista, alla quale veniva allenato con esercizi massacranti, che gli permettevano di imparare certi automatismi utili a diventare una vera e propria macchina da combattimento. In questo modo, all’interno della scuola si creava una gerarchia tra i gladiatori che, per tutta la vita, cercavano di raggiungere la vetta.
La maggior parte di loro moriva tra i ventuno e i trent’anni, con all’attivo da cinque a trentaquattro combattimenti, i quali potevano essere svolti da una a quattro volte l’anno, sia perché dovevano avere il tempo di riprendersi dalle ferite, sia per non annoiare il pubblico. I combattenti ultratrentenni erano pochi ed erano i migliori, nonché i più fortunati per aver avuto più volte la grazia. Infatti, il combattimento per il gladiatore poteva finire in cinque modi: poteva vincere, poteva essere ucciso, poteva essere giustiziato dopo essersi arreso (per volere dell’imperatore o del pubblico), poteva ottenere la grazia e uscire vivo, oppure poteva uscire insieme all’avversario se il combattimento finiva in parità. Alcuni tra i gladiatori più forti e famosi combatterono anche oltre i quarant’anni e fino addirittura ai sessanta. Erano valorosi e rappresentavano un modello di virilità, che esercitava un grandissimo fascino sulle le donne, sia del popolo che dell’alta società.
I gladiatori vivevano all’interno della scuola e combattevano nelle arene dell’Impero. A Roma, i giochi erano organizzati dal procurator munerum dell’imperatore. Egli trattava con i lanisti e sborsava ingenti cifre per garantirsi la presenza dei guerrieri famosi. Queste cifre, che andavano dai mille-duemila sesterzi per i gregarii, ossia i gladiatori di ultima categoria, fino ai quindicimila sesterzi per i campioni, finivano, per la maggior parte, nelle tasche del maestro della scuola. Al gladiatore era infatti lasciata solo una misera mancia ed egli non riusciva ad arricchirsi nemmeno con i premi che, il più delle volte, erano costituiti da corone o ramoscelli d’ulivo e qualche moneta. Erano rari gli spettacoli in cui venivano assegnati premi corposi, dei quali, comunque, spettava una percentuale al lanista (gli schiavi potevano tenere solo il 20% del premio, mentre i liberi il 25%, il resto spettava al maestro). Per questi motivi, erano pochi gli schiavi che riuscivano a pagarsi la libertà con i guadagni e, anche nel caso in cui riuscivano, spesso stipulavano contratti per continuare a esibirsi anche dopo la liberazione. Per gli ex gladiatori, le possibilità al di fuori dell’arena erano, infatti, limitate, perché sapevano solo combattere, ma la carriera militare era loro preclusa. Potevano ambire a un lavoro come guardia del corpo di qualche cittadino (cosa che avveniva di frequente in epoca repubblicana) o a un impiego presso l’imperatore, ma la stragrande maggioranza rimaneva all’interno della scuola fino alla morte. Se non morivano in giovane età, restavano come allenatori o guardiani o addetti alle pulizie.

Nell’arena, ogni gladiatore combatteva con l’arma alla quale era stato addestrato e che rimaneva la stessa per tutta la carriera. Poteva essere la lancia, il giavellotto, la spada o il pugnale, di diversi generi. Erano previsti elmi, scudi, protezioni per le gambe e per il braccio che impugnava l’arma e anche corazze, le quali però non venivano usate. I gladiatori, infatti, si esibivano a petto nudo in segno di sottomissione, in quanto erano l’imperatore e il pubblico a disporre della loro vita, e anche per essere pronti a offrire la schiena o il collo per il colpo di grazia in caso di condanna a morte. Vediamo le categorie dei gladiatori in base alle armi usate:
- I traci, muniti di spada ricurva abbastanza corta e scudo,
- I mirmilloni, con lo scudo allungato e la spada a doppio taglio; impiegati soprattutto contro il reziario,
- Gli oplomachi, muniti di un piccolo scudo di bronzo, che iniziavano a combattere con la lancia, per poi passare alla spada corta,
- I reziari, senza elmo, scudo e gambali, ma solo con una fasciatura sul braccio sinistro e una protezione in bronzo sulla spalla, muniti di una rete tonda a maglie larghe e un tridente,
- I secutores, con l’elmo che proteggeva tutto il viso, lasciando solo due piccoli fori per gli occhi. Avevano campo visivo limitato e, per questo, dovevano avvicinarsi il più possibile all’avversario,
- Gli equites, che gareggiavano solo tra di loro, iniziavano il combattimento a cavallo e usavano spade e lance,
- I provocatores, con un lungo scudo rettangolare, corazza, un solo gambale e una spada corta,
- I paegnarii, che si esibivano nell’intervallo di mezzogiorno con spettacoli tragicomici, senza elmo né scudo, ma solo con un’armatura di cuoio, muniti di una frusta e di un bastone dalla punta a uncino. Erano, per lo più, gladiatori anziani con difetti fisici,
- Gli andabatae, con gli occhi bendati o con fori dell’elmo coperti che si affrontavano con la spada.
Ora che conosciamo coloro che combattevano nel Colosseo, vediamo come si svolgevano i giochi. Il programma del grande anfiteatro romano era suddiviso in tre parti: al mattino i combattimenti tra animali; a mezzogiorno le esecuzioni di criminali e schiavi che avevano tentato la fuga ed esibizioni più leggere, come gare di atletica o numeri comici; al pomeriggio i combattimenti tra gladiatori.
Il programma mattutino era, a sua volta, diviso in tre parti. Si iniziava con i combattimenti tra animalidiversi, soprattutto nella combinazione orso-toro, in cui anche il vincitore veniva poi abbattuto. Dopo questo spettacolo, si passava ai numeri circensi con gi animali addestrati e, infine, si assisteva alla venatio, ossia il confronto tra animali e uomini: i venatores, cioè i cacciatori, e i bestiarii, ossia gli uomini che combattevano contro le belve. Erano i cacciatori a iniziare con una battuta collettiva ad animali innocui, per poi passare a quelli feroci. Terminata la caccia, era la volta dei bestiarii che davano vita due tipologie di spettacoli: quello che assomiglia molto al rodeo texano, in cui il combattente saltava in groppa a un toro per cercare di immobilizzarlo torcendogli il collo, e quello in cui l’uomo combatteva contro un orso, un leone o una tigre munito solo di un giavellotto.
Arrivati a mezzogiorno, chi non si allontanava per il pranzo, assisteva alle esecuzioni. I condannati a morte (che avevano trascorso la loro ultima notte in una cella nelle catacombe) venivano divisi in due gruppi: da una parte i romani colpevoli di omicidio, dall’altra i non cittadini e gli schiavi. La prima esecuzione era quella dei cittadini di Roma che venivano uccisi con la spada, quindi velocemente. Gli altri, invece, venivano condannati al supplizio della croce, bruciati vivi o dati in pasto alle belve; alle volte, venivano combinate due modalità (ad esempio, potevano essere inchiodati alla croce e poi dati alle fiamme oppure venivano appesi alla croce in modo che le belve potessero arrivare a sbranarli). In alcuni casi, però, anche per i cittadini l’esecuzione poteva avvenire in altro modo. Due di loro venivano buttati nell’arena: uno disarmato scappava mentre l’altro lo inseguiva armato di spada, finché non lo uccideva. L’inseguitore veniva poi giustiziato a sua volta. Tuttavia, le esecuzioni erano probabilmente noiose per il pubblico e, per questo, gli organizzatori ne collocavano una parte in un contesto mitologico, in esibizioni che presentavano miti celebri.
Terminate le esecuzioni e rientrati quanti erano usciti per pranzare in una delle bancarelle che circondavano l’anfiteatro, si arrivava allo spettacolo più atteso: i combattimenti tra gladiatori. Iniziava tutto con una processione in pompa magna, che proveniva dalle catacombe accompagnata dal suono di trombe, corni e doppi flauti, sostava al centro dell’arena (in cui i gladiatori toglievano elmo e scudo per far ammirare i loro fisici possenti), per poi scomparire di nuovo nelle catacombe. Terminata la processione, a cui prendevano parte l’organizzatore dei giochi e i suoi servitori, iniziava il riscaldamento dei gladiatori, chiamato preludio, con le armi di legno. Al segnale degli arbitri, i gladiatori lasciavano l’arena e venivano introdotte le armi ufficiali. La prima coppia di combattenti entrava con un sottofondo musicale molto trascinante e si posizionava al centro dell’arena. Qui bisogna sfatare il mito che vuole i gladiatori abituati a salutare l’imperatore con le parole Ave Caesar, morituri te salutant. Questo saluto, infatti, è stato riportato solo da Svetonio che lo indicò come pronunciato solo una volta prima di una naumachia. Gli studiosi ritengono, quindi, che sia ingiustificato credere che si trattasse di un’abitudine dei gladiatori. In ogni caso, saluti a parte, arrivava qui il momento per i combattenti di mettere in pratica quanto appreso durante l’addestramento. Entrambi si muovevano con competenza e precisione, mai alla cieca, anche perché spesso si conoscevano tra loro e sapevano quali erano i punti forti e deboli dell’altro. Inoltre, i due gladiatori erano quasi sempre di pari livello; solo di rado veniva accoppiato un veterano con un giovane alle prime armi. Per questo motivo, la durata del combattimento era sconosciuta. Se entrambi erano quasi sfiniti, l’arbitro concedeva una breve pausa e se, dopo la pausa, ancora non c’era un vincitore, egli sospendeva la sfida e chiedeva il giudizio dell’imperatore e del pubblico. Ai gladiatori che si erano battuti con coraggio veniva concessa la stantes missi, ossia l’uscita trionfale in piedi. Tuttavia, la maggior parte dei duelli finiva con un vincitore. Tutti i gladiatori erano addestrati a morire con dignità, ma a volte qualche perdente si arrendeva, abbassando spada o tridente e buttandolo a terra, e invocava la grazia (se non moriva per le ferite riportate). In questo caso, l’arbitro interveniva per impedire che il vincitore lo finisse e si rivolgeva all’organizzatore dei giochi (nel Colosseo era sempre l’imperatore, per mezzo di un procurator) per chiederne il parere. L’imperatore a sua volta, spesso, lasciava il giudizio al pubblico. Nel frattempo, il gladiatore attendeva sperando nella grazia. Se sentiva gridare mitte, usciva vivo per tornare nella scuola; se invece sentiva iugula, sapeva che il pollice di tutti gli spettatori era verso e che la sua fine era arrivata. Allora, stringeva le mani sulle spalle o le gambe del vincitore e si inchinava aspettando il colpo di grazia tra le scapole o sulla nuca. Poi veniva caricato su una barella e fatto uscire dalla Porta Libitinaria (della morte), per essere portato nello spoliarium, un locale in cui era spogliato delle armi e in cui gli veniva tagliata la gola, per essere certi che non fingesse la morte. Solo raramente l’imperatore ignorava la decisione del popolo e concedeva la grazia. Il vincitore, invece, si avvicinava al palco imperiale per ricevere il premio (un ramoscello d’ulivo e qualche moneta), salutava la folla e usciva dalla Porta Sanavivaria (della vita). Il suo valore di mercato era cresciuto.
Chiudeva i giochi la distribuzione dei doni da parte dell’imperatore. Dall’alto dell’anfiteatro venivano buttate giù delle palline di legno con vari simboli che indicavano monete, vestiti, cibo o suppellettili d’argento e chi le afferrava doveva portarle ai funzionari per ritirare la cosa indicata. In questo modo, l’imperatore esibiva il proprio potere e cercava di guadagnarsi la lealtà del popolo.
I giochi gladiatorii erano affascinanti agli occhi dei romani perché simboleggiavano lo splendore di Roma ed esprimevano le virtù romane come il valore, la forza e il coraggio. Per questo tra il I e il III secolo, non si poteva immaginare Roma senza i gladiatori. Tuttavia, nel III secolo le province dell’Impero dovettero affrontare le invasioni barbariche che portarono una forte recessione economica. Per questo, i costosissimi spettacoli gladiatorii vennero abbandonati, sostituiti con spettacoli più economici. Inoltre, i combattimenti tra gladiatori si scontrarono con la diffusione del cristianesimo, che ne era avverso. Nella capitale, il graduale declino di questi spettacoli iniziò nel IV secolo.
A questo punto, tornando al film citato all’inizio, molti di voi avranno capito che Il gladiatore di Ridley Scott non è storicamente attendibile quanto ai combattimenti tra gladiatori. Chi lo ha visto ricorderà i duelli tra molteplici gladiatori contemporaneamente, oppure tra gladiatori e animali nello stesso momento, oppure ancora combattenti con maschere di fantasia. Tutto ciò non corrisponde a quanto accadeva realmente nell’Antica Roma.