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Le fondamenta del romanzo storico. Terzo appuntamento: l’importanza dell’ambientazione.

Per permettere al lettore di calarsi in un’epoca lontana da quella contemporanea è indispensabile che l’autore ricostruisca le atmosfere di quel periodo. Egli deve conferire tridimensionalità alla trama, prepararne il tessuto, inserendo elementi della vita quotidiana e le caratteristiche sociali e culturali, come le usanze, le condizioni sociali, i costumi. Per questo motivo, partendo dalla vicenda e tenendo ben presente i personaggi (e in particolar modo i loro ceti sociali, che influiscono sull’ambientazione), l’autore deve ricostruire il mondo intorno a loro. Per fare ciò, deve tenere conto di quelli che potremmo definire i tre aspetti dell’ambientazione:

  • Aspetto temporale: l’autore deve tenere conto, innanzitutto, del periodo in cui è ambientata la sua vicenda. Una volta scelto, dovrà ricostruire le norme, le abitudini, gli usi, le consuetudini e il modo di vivere tipici di quel momento storico. Ad esempio, il modo di vestire o quello di mangiare è stato molto diverso nella Roma Imperiale rispetto alla Roma del Quattrocento.
  • Aspetto spaziale: poi deve considerare il luogo in cui si svolge (sempre contestualizzato nel periodo scelto). Pertanto, l’autore deve ricreare nella mente del lettore l’immagine della città o del paesaggio per com’era in quel preciso momento. Inoltre, deve tenere presente che, in uno stesso periodo storico, ma in luoghi diversi gli aspetti della vita possono essere molto differenti.  
  • Aspetto sociale: il ceto sociale dei personaggi caratterizza anche l’ambientazione che, pertanto, sarà differente alla corte del Re Sole rispetto a quella delle strade di Parigi durante la Rivoluzione. Ad esempio, una vicenda in cui i personaggi appartengono alla nobiltà, questi avranno abitudini e comportamenti che saranno diversi rispetto a quelli delle persone dei ceti sociali più bassi dello stesso periodo storico. E tutto questo influisce sull’ambientazione a livello dei luoghi in cui vivono, di cosa mangiano, di come vestono, ecc.

E quello dell’ambientazione, dal punto di vista del lettore, può essere un aspetto fondamentale, un aspetto che l’autore non può trascurare. Infatti, la percezione del romanzo storico e il suo gradimento passano molto attraverso il grado di immersione che lo stesso permette. E più l’autore riesce a scendere nei dettagli, più il lettore può calarsi nella storia. Ma è proprio in questo aspetto che è facile commettere errori, che possono inficiare la considerazione del lettore sull’intero romanzo. Facciamo un esempio macroscopico: trovare una scena in cui un personaggio sta mangiando delle patate in un romanzo ambientato nella Milano del Trecento fa perdere alla storia la sua credibilità. Pertanto, lo scrittore deve essere abile nel destreggiare la conoscenze acquisite, deve studiare a fondo il periodo e le sue peculiarità e non addentrarsi in dettagli che ignora.

Ma adesso, lascio la parola ad Andrea Zanetti.

Proviamo ad entrare nel dettaglio: da cosa è formata l’ambientazione?

L’ambientazione è la parte caratterizzante del romanzo storico. Ma non è solo un orologio a cui abbiamo portato indietro le lancette. Ci sono mille accortezze da usare per ricreare l’ambientazione. Oltre ad una classica “decostruzione” degli edifici, delle città, delle strade e dei ponti, cambiano i mezzi di trasporto, cambiano i tessuti con cui ci si vestiva, cambiano le abitudini, dal lavoro alla cucina. Oggi da Venezia a Padova ci si impiega circa mezz’ora, ma una volta si andava a piedi! E quando si andava per mare si dormiva sopra i ponti di voga, per mesi, e si mangiava biscotto di farina cotto in acqua di mare e aceto. Ve lo immaginate? Ecco che l’ambientazione risulta tanto più accurata e coinvolgente quanto il narratore tiene in considerazione anche le conseguenze pratiche di tempi diversi e difficili (che è forse quello che manca maggiormente nei libri di storia, e che invece il romanzo può raccontare meglio). Quindi oltre la parte prettamente “visiva” dell’ambientazione, aggiungerei tutte quelle sfumature pratiche che caratterizzano il vivere in un’altra epoca.

Quali sono le difficoltà che lo scrittore incontra in questa ricostruzione?

La cosa più complessa è proprio l’approvvigionamento delle fonti. Fonti di qualità ben s’intende. Più ci si allontana dall’attuale e più queste scarseggiano, cambiano gli usi e le consuetudini, cambiano le tradizioni e cambiano i pensieri. Queste notazioni più si va lontano nel tempo e meno vengono trascritte. La storia cambia a seconda di chi la racconta. Per fare un esempio, se oggi il mondo venisse raccontato solo ed esclusivamente dai miliardari, fra cinquecento anni i nostri discendenti avranno un’immagine molto diversa e parziale di quella che è la realtà nel quotidiano. E ancora, ci mancano esperienze dirette rispetto a quello che vogliamo raccontare: non siamo più abituati a certi sapori, a certi profumi e odori, non conosciamo le sensazioni della fame nera, del gelo nelle case, il rumore di una vecchia bottega per la produzione di spade e picche. Bisogna lavorare molto di immaginazione affidandosi, se possibile, a chi si dedica alla rievocazione storica.

Quali sono, a tuo avviso, gli elementi fondamentali per proiettare nel lettore un’immagine nitida dell’ambientazione, come la Venezia del Cinquecento della tua trilogia?

Come in ogni buon romanzo, bisogna cercare di narrare attraverso tutti e cinque i sensi. Visivamente i dettagli di abiti, utensili dell’epoca, gli arredi dei palazzi possono dare una buona “prima impressione”. Ma credo si debbano raccontare anche le sonorità di una città laboriosa piena di botteghe di artigiani, ma anche il silenzio assoluto dei boschi o dei pascoli, un ambiente molto diverso da oggi. Così come gli odori che potevano intasare vie e calli di rioni popolari estremamente affollati, senza le comodità e le strutture igieniche di oggi. I disagi fisici di allora, poi, come vestiti troppo pesanti per le temperature estive o indumenti troppo leggeri per i lunghi inverni… e ancora i morsi di pulci, zecche e gli insetti… fa tutto parte di un quotidiano molto diverso e che merita una sua parte.

Quali errori deve evitare un autore a livello di ambientazione?

Mi preme fare una premessa: chi non fa non sbaglia mai. Qualcosa scappa sempre, è difficile essere dei veri tuttologi. Bisogna però cercare di non ricreare dei personaggi in tutto e per tutto simili a oggi. Quando si ricostruisce l’ambientazione porsi sempre il maggior numero di domande possibili, senza mai dare mai nulla per scontato. Un consiglio è di non entrare troppo nel dettaglio, in caso di dubbio. Fate lavorare la mente dei lettori. (E se ve lo dico io che inizialmente sono stato quasi didascalico…

Vi aspettiamo mercoledì 15 dicembre per affrontare il tema dei personaggi storici.

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Review party de “Il segreto della speziale” di Sarah Penner

Il segreto della speziale” di Sarah Penner, edito da HarperCollins, è una storia di solidarietà tra donne che attraversa i secoli, che si snoda tra pozioni e magie.

Tre punti di vista si alternano in questa narrazione dal ritmo incalzante, che si sviluppa in due contesti temporalmente differenti: la Londra contemporanea e quella di fine Settecento.

Ritroviamo, così, Nella Clavinger, una speziale della Londra georgiana, che ha dedicato la sua vita ad aiutare le donne della città con le sue pozioni erbacee; una donna che ha speso la sua esistenza al servizio di altre donne che, come lei, soffrivano, soprattutto per amore. Eliza Flemming, invece, è una ragazzina di dodici anni che, inviata dalla signora presso cui presta servizio come domestica nella bottega di Nella, si ritrova ad intrecciare la sua giovane vita con quella della famosa speziale. E poi c’è Caroline Percewell, una ragazza americana dei giorni nostri, che ha appena scoperto il tradimento del marito James e ha deciso di partire da sola per quel viaggio a Londra che avevano organizzato per il decimo anniversario di matrimonio. Anche la sua vita, in modo del tutto inaspettato e a più di due secoli di distanza, si intreccerà con quella di Nella ed Eliza, in una città che saprà riportarla alle sue origini.

Queste tre donne danno vita ad un romanzo intenso ed avvincente, dai risvolti inaspettati, che si sviluppa in un parallelismo storico interessante ed originale. Una storia nella quale si affrontano i più importanti temi femminili, come la maternità e gli abusi, e che ci fa riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte e sull’importanza di seguire i propri sogni. La ricostruzione della Londra settecentesca è suggestiva e permette al lettore di compiere agevolmente il salto temporale tra il racconto di Nelle e quello di Caroline. Molto interessanti anche i piccoli misteri che aleggiano durante il racconto e che fungono da congiunzione tra i due periodi storici nei quali è ambientata la trama.

Il segreto della speziale” è, quindi, un romanzo magico e affascinante, ricco di spunti di riflessione, che sa trasportare il lettore avanti e indietro nel tempo, grazie ad una trama appassionante che saprà conquistare sia le lettrici amanti dei romanzi contemporanei sia le appassionate di romanzi storici.

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I Longobardi raccontati da Elena Percivaldi e Diego Giulietti

Nel 568, guidato da re Alboino, in Italia arrivò un popolo germanico che rimase nella penisola per due secoli, fin quando i Franchi di Carlo Magno decretarono la caduta del regno che questo popolo aveva creato: erano i Longobardi.

Ma come fecero i Longobardi, in soli due secoli di permanenza in Italia, a influenzare così profondamente la Storia del nostro Paese?

A questa e ad altre domande sul popolo longobardo, ha risposto la dottoressa Elena Percivaldi, autrice (tra gli altri) di “I Longobardi. Un popolo alle radici del nostro Paese”, edito da Diarkos Editore, in questa lunga video intervista.

Insieme a lei, a raccontarci di questa popolazione, è stato anche Diego Giulietti, Magister della Scuola di Scherma Storica “Fortebraccio Veregrense”, che si è soffermato sull’aspetto guerriero della loro società.

Li ho incontrati ed intervistati in occasione del festival interceltico “BustoFolk” di Busto Arsizio (Va), dove hanno tenuto il convegno “I Longobardi. Un popolo guerriero”.  

Ringrazio nuovamente Elena Percivaldi e Diego Giulietti per la loro disponibilità.

Potete trovare l’intera intervista sul mio canale Youtube, qui https://www.youtube.com/channel/UC6zzE8Mp6kb_RCNNcBZdxaQ

Buona visione!

Diego Giulietti, Deborah Fantinato e Elena Percivaldi
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Due chiacchiere con gli autori: Carla Maria Russo e la famiglia Sforza

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “I venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza“, ho avuto il grande piacere di intervistare Carla Maria Russo in merito alla famiglia protagonista del romanzo. Ringrazio l’autrice per la disponibilità e vi auguro una buona lettura.

  • Il suo ultimo romanzo si colloca idealmente come terzo capitolo di una saga, iniziata con “La bastarda degli Sforza” e proseguita con “I giorni dell’amore e della guerra”, dedicata alla famiglia Sforza. Perché ha scelto, tra le molte importanti dinastie italiane, di raccontare le vicende proprio di questa famiglia?

In realtà, inizialmente ho scelto di raccontare la storia di Caterina Sforza, donna dal carattere e dalla vita estremamente interessanti. Questo, ovviamente, mi ha portato a conoscere molto da vicino la corte degli Sforza e dunque a incuriosirmi sulle loro origini. Ho trovato in effetti una storia molto avventurosa ed avvincente, dal momento che sono partiti da origini umilissime. Così ho deciso che mi sarebbe piaciuto narrarla.

  • La famiglia Sforza si pone come la seconda casata, seguita ai Visconti,  che ha guidato il ducato di Milano tra il Tardo Medioevo e il Rinascimento, prima dell’inizio delle dominazioni straniere. Tra Visconti e Sforza, quale fu la famiglia che più contribuì a fare di Milano una delle più importanti città italiane? E quali differenze possiamo cogliere tra i loro governi?

Sicuramente anche i Visconti hanno guidato il ducato con una certa capacità, in particolare con Gian Galeazzo Visconti, il quale tentò, senza riuscirci, di ampliare i confini dello stato espandendosi verso il centro Italia. Tuttavia il governo dei Visconti venne spesso vissuto dal popolo come dispotico e inutilmente crudele. Migliore fu il governo degli Sforza, in particolare di Francesco e Ludovico il Moro, soprattutto per lo sviluppo che seppero imprimere all’economia, promuovendo nuovi settori che avrebbero poi fatto la fortuna della Lombardia anche nei secoli successivi: la coltivazione del riso per scopi alimentari, ad esempio, quella del gelso, che permise di avviare la produzione della seta, il grande impulso dato a tutto il settore tessile, a quello meccanico e così via.

  • Ne “I venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza”, ci racconta del grande amore tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, la coppia che celebrò il passaggio dal dominio Visconti a quello degli Sforza; una vera rarità per l’epoca. Da quali fonti storiche ha potuto constatare l’esistenza di questo forte legame tra loro?

Da molteplici documenti. Basta leggere, ad esempio, la corrispondenza fra i due sposi o anche solo l’orazione funebre che Bianca pronunzia ai funerali del marito, così carica di affetto, di accorato rimpianto, di rimproveri a se stessa per aver spesso perseguitato Francesco con la sua gelosia. Il loro è stato un rapporto di amore ma anche di reciproca stima, come dimostra il fatto che Bianca è sempre stata associata a suo marito nella guida del ducato e sua ascoltatissima consigliera.

  • Relativamente a tale rapporto, nel corso del romanzo, più volte, assistiamo all’esposizione, da parte di Francesco Sforza, della teoria della diversità tra uomo e donna, che riflette la condizione della donna in quell’epoca. Per quale motivo ha sentito l’esigenza di ripetere questo concetto?

Perché i loro scontri su questo punto erano frequentissimi, a causa della gelosia di Bianca per i continui tradimenti di Francesco. Questo è stato forse il più forte motivo di disaccordo nel loro rapporto coniugale (l’altro è stato l’educazione del primogenito Galeazzo). Francesco incarna in tutto e per tutto un’ideologia, diremmo oggi, fortemente maschilista: il concetto di fedeltà, tassativo e ineludibile per Bianca, diventava molto più elastico per se stesso, al quale le avventure erano non solo concesse ma giustificate, sia come conseguenza della “natura virile degli uomini”, sia perché, in fondo, nulla sottraggono all’amore per la moglie, cui riteneva di essere fedele “nel cuore”. Bianca però, respingeva con veemenza questi argomenti, non solo perché era gelosissima del marito ma perché considerava il tradimento un insulto alla sua dignità di donna. Se la fedeltà è un valore, affermava Bianca, allora lo è per tutti, maschi e femmine. Ma non riuscirà mai a persuadere il marito. Da qui le frequenti liti e recriminazioni.

  • Leggendo il romanzo appaiono nette le differenze delle personalità e degli atteggiamenti dei tre esponenti della famiglia Sforza, Muzio, Francesco e Galeazzo Maria. Dal primo, concreto e valoroso, abituato a conquistare le vittorie con la propria spada, si arriva a Galeazzo Maria, arrogante e perfido, convinto che tutto gli fosse dovuto. Quale fu il duca Sforza peggiore?

Ovviamente il peggiore dei tre fu Galeazzo, che Bianca, forse a ragione, sospettava di avere ereditato alcuni disturbi caratteriali dei suoi avi Visconti. In effetti, esistono molte lettere dei suoi insegnanti che ne denunciano il carattere prepotente, vendicativo e spesso propenso a manifestazioni di eccessiva e inutile crudeltà. Di sicuro, poi, non aiutò l’approccio educativo da parte dei genitori, che fu molto contrastante: tollerante e permissivo da parte di Francesco, che considerava gli eccessi del figlio un problema legato all’età, destinato a correggersi da solo con il tempo, molto severo e rigoroso da parte di Bianca, che fu lasciata sola nel tentativo di correggere il ragazzo e inculcargli dei valori, dei limiti ai suoi impulsi eccessivi. A ciò va aggiunto che Galeazzo Maria Sforza avvertì quasi certamente il peso del confronto con quei due giganti che furono suo padre e suo nonno, vittoriosi e immensi in ogni campo e forse lo tormentò la consapevolezza di non essere alla loro altezza.

  • Un personaggio del romanzo che, indubbiamente, colpisce molto è Filippo Maria Visconti, l’ultimo duca di questa famiglia, dalla personalità molto particolare, che nel romanzo la sua penna è riuscita a restituire in modo molto nitido. Filippo Maria è stato davvero un personaggio così negativo?

Su Filippo Maria Visconti ho trovato una fonte inconfutabile: il suo segretario, cancelliere e amico carissimo Pier Candido Decembrio, il quale ha scritto una “Vita di Filippo Maria Visconti” che è stata per me fonte inesauribile di notizie. Certo, Filippo era una persona problematica e disturbata, afflitto com’era da difetti fisici e turbe caratteriali. Secondo Pier Candido Decembrio, molte delle sue ossessioni e disturbi trovavano una giustificazione nella destabilizzante storia familiare che si portava alla spalle, fatta di violenze, persecuzioni e crudeltà di ogni genere.

  • A quale dei personaggi si è avvicinata maggiormente durante la stesura del romanzo?

Mi avvicino a tutti personaggi perché il mio compito è rendere in maniera efficace la psicologia e la personalità di ognuno.

  • Nel romanzo si ritrovano alcuni aneddoti curiosi, come il vezzo di Francesco Sforza di tingersi i capelli. Questi particolari sono citati in fonti storiche o rientrano nella parte romanzata della storia? 

No, sono documentati e narrati da cronachisti dell’epoca.

  • Un’ultima domanda. C’è un altro personaggio storico o un’altra famiglia intorno al quale le piacerebbe costruire un nuovo romanzo?

Al momento, no. Per ora mi godo un periodo di “interregno”.

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Il geranio Rosso

È il 1801 e siamo a Charleroi, in Belgio.  Una donna di quarantacinque anni, con il ventre pronunciato per la gravidanza avanzata, prepara la colazione ai suoi due figli, Luigi e Marie Thérèse, e saluta con un tenero bacio il marito, il cavaliere Jean Jarjayes.
Sembra una scena di vita familiare qualunque, ma quella donna è Maria Antonietta, l’ex regina di Francia. È scampata alla ghigliottina e ora vive felice con il suo nuovo amore, i figli e la fedele amica Louise de Lamballe.
Nel romanzo breve “Il geranio rosso”, edito da Giovane Holden Edizioni, Paola Gianoli Caregnato, attraverso una prosa aulica e non comune, ripercorre la vita dell’ultima regina di Francia. Dall’arrivo a Parigi, nel 1770, come promessa sposa del delfino Luigi, fino al fantasioso presente in Belgio.
L’autrice ci restituisce il ritratto immaginario dell’intimità e della semplicità di una delle donne più famose della Storia, così come non abbiamo mai avuto occasione di scoprirla.
Ci racconta di una Maria Antonietta madre e moglie comune, che nella serenità di quei momenti accavalla nella sua mente i dolorosi ricordi del periodo del Terrore, nel quale tutto le era sembrato perduto. La osserviamo sorseggiare un tè, scrivendo memorie che avrebbe voluto dimenticare; la vediamo danzare intorno ad un tavolo con il marito e l’amica di sempre, ma anche ricordare la tremenda fine del suo precedente e illustre consorte, re Luigi XVI.
Nonostante la brevità dell’opera, l’autrice ha riservato ampio spazio alle biografie dei personaggi, permettendo al lettore di entrare in confidenza con loro e di apprendere nozioni e curiosità sulla Rivoluzione Francese e sui suoi protagonisti.
Uno stile molto particolare, caratterizzato dall’utilizzo di piacevoli francesismi, che creano un’atmosfera che permette al lettore di calarsi maggiormente nel contesto, ma anche da lunghi periodi che penalizzano la fluidità della narrazione.
“Il geranio rosso” è un romanzo breve ma intenso e, a tratti, grottesco, nel quale si assiste allo scorrere della vita di una grande donna, ingiustamente disprezzata in veste di regina.

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La mantella rossa

Andalusia, 1494.
Clara Fonseca è una fanciulla con la passione per la medicina, trasmessale dal padre, nata cristiana da una famiglia di conversos; Diego de Mesa, è un valoroso hidalgo, appartenente ad una famiglia di cristianos viejos, contrario alla schiavitù e ai pregiudizi che impregnano la società nella quale è cresciuto. I due giovani si innamorano perdutamente, ma i matrimoni misti non sono ben visti nella Spagna cristiana dei Re Cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Le loro famiglie non accettano questo amore e Diego decide di prendere parte alla guerra per la conquista di Tenerife, per crearsi una posizione che gli permetta di sposare la sua Clara, nonostante il divieto imposto. Ma l’ombra dell’Inquisizione calerà anche sulla famiglia Fonseca e allora tutte le certezze crolleranno; Roma e Tenerife divideranno i due innamorati.
Riuscirà l’amore a superare ostacoli insormontabili come l’Inquisizione, la persecuzione e la distanza?
Questa è la trama de “La mantella rossa”, scritto a quattro mani da Domitilla Calamai e Marco Calamai de Mesa ed edito da La Lepre Edizioni.
La storia di Clara e Diego si svolge sullo sfondo di una Spagna fermamente cattolica e intollerante verso le altre religioni ed, in particolare, degli ebrei, in un clima di grande ostilità nei loro confronti. I Re Cattolici, infatti, alla fine del XV secolo attuarono una repressione verso mori ed ebrei, cacciandoli dalla Spagna, allo scopo di uniformare il loro regno dal punto di vista religioso. Ad essi fu concessa la possibilità di scegliere tra l’esilio e la conversione, ma tale opzione fu soltanto una mera illusione. Coloro che sceglievano di rinnegare la propria religione per abbracciare il cristianesimo, chiamati conversos, venivano infatti additati e subivano la cattiveria del pregiudizio da parte dei cristiani puri, i cristianos viejos, contraddistinti appunto dalla limpieza de sangre. Soprattutto quando, a dare un’accelerata all’unificazione religiosa, arrivò l’implacabile Inquisizione di Tomàs de Torquemada, che ne fece il bersaglio principale della sua attività, inventando accuse ed estorcendo confessioni attraverso la tortura, praticando la politica del sospetto.
Il grande pregio di questo romanzo sta proprio nel puntuale racconto del terribile scenario della persecuzione degli ebrei e di altri argomenti molto interessanti: la conquista di Tenerife con il consequenziale tragico eccidio dei nativi e la sottomissione dei superstiti ; l’affascinante descrizione della figura dell’hidalgo, titolo nobiliare attribuito ai secondogeniti, ai quali non spettava nulla in eredità dalla famiglia e che, per tale motivo diventavano consquistadores, proprio come accade al protagonista; la drammatica realtà della schiavitù dei neri importati dalle colonie africane. Inoltre, è molto suggestivo anche il crudo dipinto della Roma di papa Alessandro VI.
La narrazione è fluida e permette al lettore di addentrarsi con piacere e scorrevolezza nel racconto.
La competente descrizione degli avvenimenti storici è un’altra nota di merito per gli autori. Inoltre, il contesto storico e l’ambientazione sono ben delineati, così come è chiara ed efficace la caratterizzazione dei personaggi.
La mantella rossa” è un romanzo istruttivo e coinvolgente che racconta uno spaccato del Rinascimento, in cui la storia  dei protagonisti si fonde sapientemente con lo sfondo storico nel quale è collocata. Gli autori sono, infatti, abili nel tratteggiare tutte le caratteristiche di quell’epoca di grandi cambiamenti e nel far emergere le emozioni contrastanti che hanno caratterizzato ogni personaggio del racconto. In particolare, rendono chiari i pregiudizi che permeavano la società e il disprezzo del quale erano oggetto gli ebrei, così come lo stato di smarrimento e rabbia che colpiva quest’ultimi.
È una lettura molto piacevole e affascinante, che accompagna il lettore in mondi lontani attraversati da un periodo difficile e caratterizzati da piaghe che, purtroppo, si sono protratte a lungo nei secoli.

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La Tigre di Forlì


Nel 1463 a Milano, veniva alla luce una bambina, figlia di Galeazzo Sforza e di Lucrezia Landriani, amante saggia e discreta del Duca: era Caterina Sforza, colei che passò alla storia come la Tigre di Forlì.
Francesca Riario Sforza ci racconta la vita leggendaria di questa donna incredibile nelle pagine della biografia romanzata “Io, Caterina”, edito da Tea Libri.
Bambina arguta dai lunghi capelli biondi, come quelli della madre che avevano stregato il duca di Milano Galeazzo Sforza, dal quale aveva ereditato tratti e temperamento, Caterina fu la nipote preferita della nonna Bianca Maria Visconti.
Bella, colta e temeraria, fu cresciuta dal padre e dalla moglie Bona di Savoia e, nonostante la sua condizione di figlia illegittima, all’età di dieci anni venne data in sposa al nipote di Papa Sisto IV, Girolamo Riario, a causa della volontà del papa di impossessarsi della città di Imola che era stata conquistata dal Duca di Milano, creando così un’intesa tra Roma e Milano; unione che fece di Caterina la donna più importante dello Stato Pontificio. Visse i primi anni del matrimonio a Roma, poi si trasferì nel 1480 a Forlì, sostituendo gli Ordelaffi che ne erano stati signori fin dall’anno mille.
Presto, però, Caterina intuì il lato codardo e pavido del marito, che si contrapponeva alla sua indole indomita e battagliera, tanto che, all’indomani della morte di Sisto IV, in una Roma in cui infuriava il saccheggio e il vilipendio della sacra figura del papa appena defunto, a soli vent’anni e incinta di sette mesi, prese possesso di Castel Sant’Angelo, attuando così un assedio per rivendicare i diritti della famiglia Riario sul suolo romano, tenendo in ostaggio lo Stato Pontificio, come il più abile dei condottieri.
Dopo la morte di Sisto IV, però, la famiglia Riario iniziò un lento declino che sfociò nella congiura degli  Orsi, nel quale venne assassinato Girolamo. “E’ sull’orlo del precipizio che lucidità e equilibrio devono essere al massimo”, le ripetevano da bambina alla corte degli Sforza e lei mise in atto questo insegnamento, dimostrando una caparbietà e una fierezza che resistettero anche alle lacrime dei figli minacciati dal nemico, meritandosi l’appellativo di Tigre.
Da quel momento, Caterina divenne Signora Reggente di Imola e Forlì. L’Italia intera parlò di lei; tenne in scacco papi e re, grazie ad un’arguzia e ad un’eloquenza che le permisero di governare da sola la Signoria. Temuta e rispettata, conosciuta in tutta Europa, fu una delle donne più considerate del suo tempo. Sorella del nuovo duca Gian Galeazzo, nipote di Ludovico il Moro e del cardinale Ascanio Sforza; amica di Lorenzo de’ Medici, Leonardo da Vinci e Girolamo Savonarola. Profonda conoscitrice della natura e dei benefici che può apportare, in cui trovava rimedi per ogni malanno. Visse una vita tra congiure, guerre e splendori, in un periodo, il Rinascimento, che ha saputo essere meraviglioso e spietato allo stesso tempo.
Seppe essere giusta e benevola con il suo popolo, ma anche vendicativa e spietata quando le toccarono i suoi affetti più cari; fu una moglie lungimirante prima e una reggente illuminata poi, votata alla politica della neutralità. Seguì con caparbietà il suo cuore fino a sposare, in seconde nozze, un uomo di rango inferiore, Giacomo Feo, andando contro la famiglia, il popolo e i suoi figli; per poi arrivare al terzo matrimonio d’amore con Giovanni de’ Medici, il Popolano.
Bella e colta, coraggiosa, indomita, battagliera, caparbia e implacabile, fiera, arguta e sagace: questo è il ritratto di Caterina che emerge dal racconto dell’autrice dal quale traspare, in ogni riga, la tempra tenace e guerriera, anche quando il destino mise sul suo cammino la temibile famiglia Borgia, che decretò la fine della sua reggenza.
Attraverso il racconto della vita di Caterina, l’autrice ci restituisce una descrizione minuziosa della situazione politica del Rinascimento, ripercorrendo eventi e personaggi, legami familiari e alleanze. Una biografia molto particolareggiata, ricca di dettagli preziosi per comprendere il contesto storico, sia dal punto di vista politico che sociale, che rendono l’opera un dettagliato affresco di un’epoca.
Grazie alla dettagliata ricostruzione dell’ambientazione e all’approfondita fedeltà alla realtà storica, questo romanzo risulta denso di fatti narrati con cura, la fedele cronaca di un tempo lontano.

I personaggi sono abilmente caratterizzati, tanto da mettere in luce le caratteristiche peculiari, ma anche le varie sfaccettature della personalità di ognuno. L’autrice ci permette di entrare in confidenza anche con personaggi di minor rilievo per la storia, come l’artista Botticelli. Inoltre, tra di essi, trova un posto di rilievo Leonardo da Vinci, istrionico, sornione, egocentrico, permaloso e suscettibile.
La narrazione è fluida e lineare, nonostante la mole di informazioni racchiusa in questo racconto che denota l’encomiabile lavoro di studio e analisi delle fonti originali.
L’accurata descrizione delle scene infonde al lettore la sensazione di trovarsi all’interno delle stesse, invisibile come un fantasma, ad osservare gli eventi in prima persona, raggiungendo un grado di suggestione davvero notevole. Colori, odori, suoni, vedute si susseguono in una narrazione avvincente che coinvolge ogni senso e trasporta il lettore all’interno della vita di questa donna straordinaria. Inoltre, di grande interesse appaiono i dialoghi quanto mai vividi e credibili, che donano alle scene una verosimiglianza tale da risultare quasi incredibile.
“Io, Caterina” è una porta quanto mai spalancata su un periodo straordinario; una lettura impegnativa, ma oltremodo appagante per chi ama lasciarsi trasportare indietro nel tempo.

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Nel nome del giglio

Cos’hanno in comune Bianca Donati, giovane aspirante poetessa dal forte impegno politico, e Federico Bernucci, incallito seduttore di ingenue fanciulle?
Non potrebbero essere più diversi: lei sognatrice coraggiosa, decisa e determinata, votata alla causa giacobina per la liberazione della Toscana; lui disincantato, viziato e ozioso, dedito soltanto ai propri piaceri e completamente disinteressato a tutto ciò che non lo riguardi da vicino. Eppure, loro malgrado, si ritrovano a dover collaborare in una delicata missione per la libertà della Toscana; una missione che prenderà una piega pericolosa.
Nella Firenze di fine ‘700, influenzata dai venti rivoluzionari in arrivo dalla Parigi ormai libera dal giogo monarchico, si svolge la trama di “Nel nome del giglio”, il primo romanzo di Lavinia Fonzi, edito da BookRoad.
In questa fiction storica, inserita in un contesto reale, la vicenda dei giacobini, che rivendicano un intervento dell’esercito francese per liberare Firenze dal dominio del granducato degli Asburgo Lorena, si intreccia alla storia di amore-odio tra i protagonisti Bianca e Federico, creando una trama gradevole, narrata in modo fluido e scorrevole.
L’autrice, attraverso i dialoghi, riesce ad inserire in maniera piacevole fatti storici che permettono al lettore di ricreare nella propria mente il contesto storico nel quale si inserisce la vicenda.
I personaggi appaiono ben caratterizzati, sia per quanto riguarda quelli frutto della fantasia sia i personaggi realmente esistiti come Giuseppina Bonaparte o il politico francese Paul Barras.
Tuttavia, alcune scene appaiono troppo veloci, smorzando la tensione della lettura, che risulta, a tratti, rallentata anche dall’eccessiva ripetizione di alcuni fatti e concetti. Inoltre, nonostante la trama sia fluida e piacevole e sia presente qualche colpo di scena interessante, in alcuni punti risulta molto prevedibile.
Tutto sommato, però, “Nel nome del giglio” è un romanzo ben scritto, che si legge con curiosità, e la penna di Lavinia Fonzi appare promettente.  Un esordio meritevole che, grazie ad una storia lineare e leggera, può costituire un primo timido approccio per quei lettori che vogliono iniziare a prendere confidenza con il romanzo storico.

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L’ultimo inganno di Hitler

Berlino, 30 aprile 1945: il gruppo speciale Smers dell’esercito sovietico irrompe nel bunker dove è rintanato Adolf Hitler, poco prima che questi riesca a suicidarsi, e lo cattura.
Il mondo e le potenze alleate credono che il cancelliere sia morto; in realtà Stalin lo nasconde, vivo.
Nel frattempo, i componenti della squadra che ha portato a termine l’operazione vengono uccisi dai propri superiori; soltanto uno di loro, Ivan Curakov, riesce a fuggire e a consegnarsi agli americani in qualità di disertore, portando con sé importanti segreti.
Il gioco di Stalin, però, non dura a lungo e le potenze mondiali iniziano ad interrogarsi sul destino di Hitler, ma soprattutto, sui suoi archivi segreti, la cui scoperta può incidere profondamente sugli equilibri politici della Storia futura.
Così si apre il libro di Matteo RampinL’ultimo inganno di Hitler”, edito da Harper Collins, un romanzo ucronico che racconta uno sviluppo alternativo della Storia dopo la Seconda Guerra Mondiale, dove Stalin, Churchill, Truman, Papa Pio XII reggono le sorti del mondo.
Oltre a questi illustri personaggi, nel romanzo compaiono altri tre personaggi fondamentali che hanno un ruolo di spicco: lo psichiatra dell’esercito americano Douglas Kelley, la spia sovietica Diana Fedrova e il disertore Ivan Curakov.
“L’ultimo inganno di Hitler” è un romanzo impegnativo e corposo, denso di richiami a molteplici episodi della Seconda Guerra Mondiale, nel quale si alterna una moltitudine di personaggi, rappresentativi delle diverse Nazioni; tuttavia, la fluidità della narrazione rende piacevole la lettura.
Inoltre, una precisa e competente caratterizzazione di personaggi suggestiona il lettore, il quale diventa partecipe del racconto. In particolare, risulta perfetto il ritratto di Adolf Hitler, del quale emergono nettamente tutte le peculiarità della sua problematica personalità; una caratterizzazione che denota un profondo studio del personaggio storico da parte del’autore.
Un racconto coinvolgente e chiaro, che stimola la curiosità del lettore, nonostante la sua mole.
La lettura di questo romanzo, inoltre, induce a riflettere cu come, realmente, oggi come allora, il destino del mondo sia nella mani di poche persone, le quali hanno la possibilità di disporne come meglio credono, al fine di perseguire gli scopi della propria Nazione.

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Tempesta maledetta

2020: mentre imperversa la pandemia da coronavirus, a Londra viene ritrovato il cadavere di un noto gallerista, Thomas Middleshow. Il ricercatore, esperto in crimini d’arte, Gil Eckhart viene chiamato ad indagare sull’omicidio, che non resterà l’unico. Una serie di delitti, che si espande anche a Venezia, sembra ruotare intorno al dipinto La tempesta di Giorgione.
1510: a Venezia, mentre dilaga la peste, il pittore Giorgione fugge dal suo studio, in pena per la sua amata Florenza, e si nasconde a casa del dottor Forte, suo caro amico, per fuggire dagli uomini di Gabriele Vendramin, di cui Florenza è l’amante.
Tra spregiudicati commercianti d’arte, galleristi senza scrupoli e volgari ladri, si svolge la trama del nuovo romanzo di Alex Connor, “Tempesta maledetta”, edito da Newton Compton Editori.
Un racconto che si sviluppa su doppia linea temporale, in cui l’autrice mette a confronto l’epidemia di peste e di covid-19, facendo emergere le stesse paure, le stesse insicurezze, le medesime reazioni e le uguali teorie complottiste.
Alex Connor descrive, infatti, una Londra dell’agosto 2020, tra saccheggi, minacce di atti terroristici e follia collettiva, in bilico tra realtà e distopia, donando una panoramica di quel passato vicinissimo che ci pare già tanto lontano.
Un’indagine serrata, dal ritmo scorrevole e dal sapore di un giallo d’altri tempi, in cui ogni sospettato ha un movente, ma nessun indizio contro di lui;  un trama miscelata con la giusta dose di suspense, principale ingrediente dei thriller storici di Alex Connor, che rende la lettura piacevole ed appassionante.
Inoltre, l’abilità dell’autrice permette di far emergere la dinamicità di un’indagine apparentemente statica a causa delle restrizioni nelle quali si trova ad operare il protagonista.  
Due epoche storiche lontane legate da un filo invisibile che passa attraverso l’arte di uno dei più importanti pittori rinascimentali italiani, il veneziano Giorgione; due momenti della storia segnati da una piaga terribile, il cui confronto permette di capire quanto l’animo umano sia rimasto lo stesso, oggi come allora.