
Ecco arrivata anche la mia tappa del blog tour dedicato al secondo e al terzo capitolo della saga “I sette re di Roma”, un ciclo di sette romanzi, al quale partecipano quattordici autori, coordinati da Franco Forte, ed edito da Mondadori, che racconta le figure dei sovrani dell’Età Regia di Roma. Il mio compito è approfondire il protagonista del secondo romanzo: NUMA POMPILIO.
Numa Pompilio fu il secondo re di Roma, il successore del fondatore Romolo, e si ritrovò alla guida di un popolo al quale non apparteneva e di una città giovane, che aveva la sua stessa età. Già, perché Roma era sorta soltanto trentanove anni prima, in quel 754 a. C. in cui nacque anche Numa, ma non nel centro che nei secoli successivi divenne capitale di un impero immenso, bensì a Cures, il fulcro di un altro popolo italico: i Sabini.
E la Roma sulla quale regnò era molto diversa dall’imponente città che siamo abituati a conoscere. A quel tempo, era divisa in tre tribù: i Ramnes, ossia le famiglie romane autoctone, guidate dai latini, i Tities, le famiglie di origine sabine, arrivate al seguito di Tito Tazio e i Luceres, di origine incerta. A capo di ognuna di esse vi era un magistrato, il tribunus, e ciascuna era divisa in dieci assemblee, dette curie. Ad amministrare la città vi era il re affiancato dal Senato, che comprendeva i rappresentati di tutte le tribù. In questo clima, Numa governò con saggezza per quarantatre anni, fino alla sua morte che avvenne all’età di ottant’anni, nel 673 a.C..
La sua figura è avvolta nella leggenda e tramandata dalla tradizione, tanto che molti studiosi dubitano della reale esistenza di questo re, come accade anche per il predecessore Romolo.
Ci affidiamo così al mito, il quale diede a questo sovrano una connotazione divina. Il suo nome, infatti, ricorda il legame che Numa aveva con gli dei, in particolare con le ninfe, divinità arcaiche delle sorgenti, tra le quali scelse Egeria come consigliera.
Una volta cresciuto, Numa sposò la regina dei sabini Tazia, dalla quale ebbe quattro figli e che morì prematuramente; ella era figlia di Tito Tazio, il re che aveva governato Roma per cinque anni al fianco di Romolo.
Alla morte di quest’ultimo, nel 716 a. C., anch’essa avvolta nella leggenda dell’assunzione in cielo durante una tempesta, i senatori non elessero subito un successore, ma per un anno si avvicendarono nel governo di Roma, nel tentativo di sostituire la monarchia con l’oligarchia. Tuttavia, dopo tale periodo, chiamato interrex, il malcontento popolare per la cattiva gestione della città richiese al Senato l’elezione di un nuovo re, ma la scelta si rivelò difficile a causa delle tensioni tra senatori romani che proponevano Proculo e i senatori sabini che sostenevano, invece, Velesio. Per risolvere il contrasto, le due fazioni decisero di proporre rispettivamente l’una un esponente dell’altra e i Romani fecero il nome di Numa Pompilio. Egli, infatti, era conosciuto a Roma proprio per il legame con Tito Tazio e tutti lo consideravano un uomo saggio e retto, nonché profondo conoscitore degli dei. I Sabini accettarono senza indugio la proposta e inviarono Proculo e Velesio a Cures per offrire il regno a Numa. Egli non diede subito la sua risposta, ma si prese il tempo di trarre gli auspici degli dei e acconsentì soltanto dopo aver ottenuto il loro favore, dimostrando di essere l’uomo corretto e timoroso degli dei che Roma cercava. E, nonostante non condividesse i costumi del popolo romano, accolse la carica mosso dalla volontà di mantenere la pace tra le popolazioni, una pace che riuscì a garantire a lungo.

Fu così che, all’età di trentanove anni, Numa Pompilio entrò a Roma come nuovo re, acclamato dalla popolazione. Divenuto sovrano, si sposò una seconda volta con Lucrezia ed ebbe altri quattro figli, ma la leggenda narra anche del grande amore per la sua consigliera, la ninfa Egeria, alla quale il popolo attribuiva le nuove leggi, accettandole di buon grado, in quanto considerate volere degli dei.
Iniziò, così, a rimodulare la società civile e religiosa e la prima riforma fu una scelta illuminata: per eliminare le tensioni tra Romani e Sabini, ridusse l’importanza delle tribù creando nuove associazioni basate sui mestieri; in questo modo, non era più importante la gens di appartenenza di un uomo, ma il lavoro che svolgeva. Poi, dando prova di quanto la religione fosse importante per lui, dispose una serie di considerevoli riforme. Istituì il collegio delle vergini Vestali alle quali era affidata la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città; affiancò al sacerdote di Giove e a quello di Marte, un terzo dedito al culto del dio Quirino, riunendoli nel collegio dei flamini; vietò i sacrifici umani e la venerazione di immagini umane e animali. Inoltre, istituì la carica di Pontefice di Roma, il quale aveva il compito di creare un ponte tra gli uomini e gli dei, vigilando sulle vestali, sulla moralità pubblica e privata e sull’applicazione di tutte le prescrizioni di carattere sacro; nominò anche il collegio dei Salii, ossia sacerdoti incaricati di separare il tempo di guerra dal tempo di pace, scandendo così il passaggio dallo stato di cives a quello di milites di tutti gli uomini abili alla guerra.
Lungo la Via Sacra, fece costruire il tempio nel quale era custodita la lancia del dio Quirino, simbolo di guerra e che veniva aperto solo in caso di battaglia: il tempio di Giano. Alla stessa divinità dedicò anche uno dei mesi dell’anno che aggiunse nella riforma del calendario che attuò, basato sui cicli lunari: i mesi divennero così dodici, in quanto aggiunse gennaio e febbraio, che vennero collocati alla fine dell’anno, dopo dicembre, dato che l’anno iniziava con il mese di marzo.
Durante il suo regno, il popolo di Roma visse un lungo periodo di pace, il più lungo della sua storia, e un’abbondanza senza precedenti che permise alla città di prosperare. Numa Pompilio si dimostrò un re scaltro, assennato e lungimirante, probabilmente anche grazie alle sue origini sabine e al rigetto che provava nei confronti dei costumi violenti di Roma, ed era considerato dal popolo come un uomo giusto.
La sua politica, infatti, sviluppò il senso della comunità riducendo il potere delle famiglie patrizie, organizzò la vita dei romani sotto l’impero di una comune legge per tutti e avviò la raccolta di fondi pubblici mediante donazioni religiose effettuate dai romani ai templi pubblici, favorite dalla forte crescita economica. Le importanti riforme da lui introdotte crearono, così, una società più flessibile e amalgamata e gettarono le basi per la grande ascesa di Roma dei secoli successivi.
Nessuna guerra o violento intrigo uccise Numa Pompilio. La sua vita si spense per cause naturali all’età di ottant’anni, nell’affetto del suo popolo. Dopo due matrimoni e il grande amore per la ninfa Egeria, si congedò dal mondo dei vivi lasciando diversi figli. Ma nessuno di loro prese il suo posto sul trono di Roma. Soltanto il piccolo nipote Anco Marcio, figlio di Pompilia, seguì la stessa sorte del nonno, come quarto re di Roma.
