Medioevo

“Guerra, cavalieri e mercenari tra Medioevo e Rinascimento”. Quarto appuntamento: la battaglia di Montaperti

Nei pressi di Montaperti, località a una decina di chilometri da Siena, il 4 settembre 1260, l’esercito ghibellino senese, appoggiato dai cavalieri di Manfredi di Svevia, sbaragliò i fiorentini e i loro alleati guelfi. Una battaglia molto importante nel contesto toscano, che ebbe una lunghissima incubazione. Proviamo a ricostruirne gli antefatti e le cause.

Partiamo dalla situazione tra le due città interessate e, per farlo, dobbiamo tornare indietro di una decina d’anni. Iniziamo da Firenze. Nel 1251, Federico II è morto da circa un anno e la sua dipartita ha galvanizzato i guelfi, che hanno rialzato la testa e preso il governo di Firenze. Già da qualche tempo, la resistenza guelfa si era acuita, tanto che, nei due anni precedenti, i filopapali fiorentini erano insorti prima contro il rappresentante imperiale in città, Federico d’Antiochia, costringendolo a fuggire, poi contro i nobili ghibellini che controllavano la città. Il governo è quindi passato alla fazione guelfa, che costituisce ora il “Primo Popolo”, con al vertice il capitano del popolo (con potere esecutivo e legislativo) e il podestà (con potere giudiziario e di comando dell’esercito). I fuoriusciti ghibellini non sono però rimasti con le mani in mano, anzi. Hanno stretto un patto con le città toscane filoimperiali, Siena, Pisa e Pistoia, per muovere guerra a Firenze. Tuttavia, i successi bellici di Firenze dell’anno successivo, convincono i ghibellini fiorentini a tornare in patria, pacificati.

Il 1251 è un anno importante anche per la ghibellina Siena. Ha, infatti, siglato una pace che permette la stabilizzazione sotto la sua guida e la sua egemonia del quadrante sud della Toscana, grazie al controllo di una serie di castelli concesso da Grosseto e dai nobili della Maremma.

Nel 1254, mentre Firenze conquista mezza Toscana, il popolo di Siena sembra voler cambiare direzione politica e, l’anno successivo, le due città stipulano un trattato di pace, in teoria perpetuo e irrevocabile, con cui si stabilisce la libertà per Firenze di muoversi nei confronti dei castelli della Val d’Elsa, di Empoli, Montevarchi, Poggibonsi, Volterra e San Giminiano, e per Siena di perfezionare il controllo del sud della Toscana su cui già aveva l’egemonia, rinunciando però a Montalcino e Montepulciano. L’accordo prevede, inoltre, per entrambe l’impegno a non accogliere ribelli o banditi dell’altra città. Sembra si sia siglata la pace nella regione. Tuttavia, nessuno ci crede davvero.

E a ragione. Tre anni più tardi, infatti, tutto precipita. A Firenze, i ghibellini, capitanati da Farinata degli Uberti, tentano un colpo di Stato che, però, fallisce, costringendoli a lasciare la città e a rifugiarsi a Siena, che li accoglie violando gli accordi. Della pace del 1255 non è rimasto niente. Firenze e Siena tornano a essere nemiche. E l’obiettivo di Firenze è di nuovo quello di bloccare l’espansione della rivale, che sta vantando diritti su Montalcino (ai quali aveva rinunciato in virtù del trattato del 1255). Il suo territorio è, infatti, ricco di minerali e di ampi spazi per la coltivazione di cereali. La cittadina, però, resiste alle pressioni senesi, rivendicando la propria autonomia di appoggiarsi a Firenze, la quale si mobilita in suo soccorso. Ma è solo una scusa. Firenze sta muovendo guerra alla sua nemica Siena, radunando un esercito pronto a combattere.

Alla fine dell’estate del 1260, Firenze ha schierato trentacinquemila soldati e con loro marcia fino alla porta Camollia di Siena. I senesi sapevano che Firenze si stava preparando alla guerra e lo hanno fatto anche loro, ma gli uomini a disposizioni sono in numero inferiore a quello fiorentino (probabilmente diecimila o diciottomila soldati, a seconda della fonte). Sullo svolgimento della battaglia, sappiamo poco, in quanto fonti storiche che la raccontano, sia senesi che fiorentine, sono state scritte a metà Trecento.

Secondo fonti senesi, i guelfi fiorentini accampati fuori Siena, inviano due ambasciatori in città con un ultimatum: si arrenda entro tre giorni o apra tre varchi nelle mura per far passare l’esercito guelfo. Siena si mobilita, raduna i soldati, tra i quali primeggiano gli ottocento cavalieri tedeschi inviati da Manfredi di Svevia (ultimo figlio dell’imperatore Federico II, ormai passato a miglior vita da dieci anni), il quale si è da poco fatto incoronare sovrano di quel regno con l’inganno, attirando su di sé e ire di papa Alessandro IV. Questo papa ha, infatti, proseguito nella stessa linea del suo predecessore Innocenzo IV che, alla morte di Federico II, aveva rivendicato il regno di Sicilia come proprio territorio e che, pertanto, non aveva mai legittimato il testamento dell’imperatore circa la Sicilia. Manfredi, però, vuole riappacificarsi con il pontefice e, per questo, la sua città di riferimento in Toscana è proprio Siena che, pur essendo da sempre filoimperiale, non è ostile al papa. Ed è questo il motivo per il quale, nei mesi precedenti alla battaglia, egli aveva accettato di prestare l’aiuto richiesto da Farinata degli Uberti, il capitano ghibellino fiorentino che aveva trovato rifugio in Siena all’indomani del mancato colpo di Stato a Firenze del 1258.

Prima dello scadere dei tre giorni, all’alba del 4 settembre, i cavalieri ghibellini scatenano l’assalto contro le schiere guelfe che prendono posizione con difficoltà e che iniziano a ritirarsi cadendo subito nelle mani dei senesi. Al tramonto, i fiorentini, provati, vedono sorpresi da un fresco contingente di cavalleria tedesca (gli abilissimi cavalieri mandati da Manfredi) che li abbatte in modo definitivo, attaccando anche carroccio di Firenze, dal quale strappano lo stendardo. L’esercito guelfo si sbanda e i soldati fuggono cercando di sottrarsi alla mattanza che ne segue. Alla fine della battaglia, il corteo dei vincitori sfila per le strade della città, meditando la punizione di Montalcino, colpevole di aver causato quel disastro, sulla quale marceranno il 22 settembre e che metteranno al sacco dopo otto giorni di assedio.

Le fonti fiorentine sono, invece, tese a giustificare la disfatta attribuendone le cause a fattori esterni e, in particolare, a due: la buonafede dei fiorentini vittime della furbizia di Farinata degli Uberti e un tradimento interno. Farinata, infatti, dopo aver ottenuto i cavalieri da Manfredi invia a Firenze due frati che recano con loro alcune lettere segrete. I religiosi vengono convinti che a Siena si è stanchi del governo attuale e che, in cambio di diecimila fiorini d’oro, consegnerebbero la città a Firenze. I governanti fiorentini abboccano e la trappola scatta. In un secondo momento, Farinata invia altre lettere nella sua città, destinate ai ghibellini rimasti a Firenze: durante lo scontro, dovranno assalire i loro concittadini. Ed è quello che fanno al momento indicato, dando un forte contributo all’esercito nemico che già aveva agito di sorpresa, prendendo alla sprovvista i fiorentini.

Dopo la sconfitta in questa battaglia e in seguito alla presa da Montalcino da parte di Siena, Firenze rinuncia, in favore della rivale, ai diritti acquisiti anche su altre città come Montepulciano, sui castelli di Maremma e Valdorcia. In sostanza, sui territori nei quali avrebbe voluto fermare l’espansione senese. I guelfi sono sconfitti e tutta la Toscana, con l’unica eccezione di Lucca, è in mano alla fazione ghibellina. Ora, Siena e le altre città ghibelline vorrebbero la distruzione di Firenze, ma la città del giglio viene difesa dai fuoriusciti ghibellini, in particolare Farinata degli Uberti, i quali vogliono il rovesciamento del regime guelfo e non la distruzione della città. Intanto, a Firenze i guelfi scappano, rifugiandosi a Lucca. Tra loro ci sono importanti famiglie come i Pazzi, i Cavalcanti, i Soderini, i Bardi. La minoranza che resta in città, perché ancora non ha ben compreso la portata della sconfitta di Firenze, subisce rappresaglie. Quando i filosvevi fuoriusciti rientrano in città, iniziano i sei anni di governo ghibellino. Guido Novello diventa podestà come vicario di Manfredi e le istituzioni cittadine subiscono significativi cambiamenti, che però non operano un’occupazione totale del partito ghibellino, in quanto non pochi guelfi rimasti in città si accordano con i nuovi governanti.

Le fonti fiorentine riportano anche il modo in cui la città ha mobilitato la popolazione per la formazione dell’esercito in vista della battaglia contro Siena. Ve lo racconterò martedì 14 marzo in un appuntamento bonus di questa rubrica. Stay tuned!

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