Un libro è un amico, un compagno di viaggio e di avventura, un forziere di emozioni; dona la possibilità di vivere la realtà che preferiamo, di conoscere e viaggiare nel tempo e nello spazio.
“Chi muore e chi uccide” di Vincenzo Padovano, edito da Nua Edizioni, è un thriller frenetico e adrenalinico.
Nella cornice di una Puglia alle prese con la pandemia di Covid-19, le vicende di tre persone si mescolano in un intreccio al cardiopalma dal quale sarà impossibile tornare indietro. Un poliziotto, un sicario e una madre sono invischiati in una lunga scia di delitti. Ognuno con i propri segreti, ognuno con il fardello dei propri errori sulle spalle. Una storia in cui il confine tra vittima e carnefice è davvero sottile. Una storia che porta il lettore a interrogarsi su molte delle proprie convinzioni.
Attraverso una narrazione molto scorrevole e incalzante, l’autore ci svela una trama intricata, che però riesce a rendere lineare al lettore; un intreccio molto ben costruito, ricco di colpi di scena. Grazie anche ai capitoli brevi e ricchi di suspense, questo romanzo si legge tutto d’un fiato. Davvero appassionante il modo in cui l’autore ha aggrovigliato le vicende dei personaggi, impossibile da intuire in anticipo.
I personaggi, di cui non è possibile rivelare molto senza cadere in spoiler, sono ben caratterizzati, tanto da risultare piacevolmente contrastanti e molto umani.
“Chi muore e chi uccide” è un thriller in cui nulla è scontato, dalla forte carica emotiva, in grado di coinvolgere facilmente il lettore. Mentre leggerete questo romanzo solo una domanda fenderà la vostra mente: dove sta davvero il Male?
Milano è una delle più importanti città del mondo; per secoli, è stata uno dei ducati maggiori d’Italia. Tutti conosciamo la sua celebre e bellissima Piazza del Duomo, il Castello Sforzesco o piazza dei Mercanti. Ma com’erano questi luoghi in epoca medievale?
Per raccontare l’aspetto del centro di Milano nel Basso Medioevo e capirne lo sviluppo, dobbiamo fare un lungo viaggio nel tempo, fino all’XI secolo, quando la città era sotto il dominio dell’Imperatore Federico I, detto il Barbarossa. In quel momento storico, il comune di Milano non esisteva ancora. Infatti, il governo del territorio spettava all’Imperatore. Ciò nonostante, l’Arcivescovo, seppur sprovvisto dei diritti comitali (ossia dei diritti di governo derivanti dalla nomina, da parte dell’imperatore, a capo di un territorio), godeva di fatto di una grande autorità che gli permetteva di reggere la città e di esserne riconosciuto come unico signore. L’Arcivescovo, però, si occupava soltanto delle questioni di grande importanza, lasciando gli affari di ordinaria amministrazione ai suoi vassalli, i capitanei, che appartenevano all’aristocrazia feudale. Pertanto, il governo della città era affidato anche a un consiglio di cittadini (i consoli) del quale, con il passare del tempo, entrarono a far parte anche i valvassori e i cives, ossia gli appartenenti alle ricche famiglie di origine non feudale, dediti alle libere professioni, come notai, mercanti o giudici. Questi cittadini, grazie alla copertura giuridica dell’Arcivescovo, iniziarono a governare, seppur in modo provvisorio e illegale, e lo facevano dal “consolato dei cittadini”, ossia il luogo dove si riunivano questi rappresentanti del nuovo regime comunale, ormai pratichi delle competenze di governo civico apprese nella curia.
Dove si trovava questo luogo? Ovviamente, nei pressi dell’Arcivescovado, ossia in quella che oggi è Piazza del Duomo. All’epoca, in quell’area si trovavano due cattedrali, ognuna con il proprio battistero: quella di Santa Maria Maggiore (la cattedrale invernale), posta all’incirca nel punto in cui oggi sorge il Duomo, anche se era molto più piccola, e quella di Santa Tecla (la cattedrale estiva), che sorgeva sul lato opposto della piazza (il lato che, oggi, dà verso Piazza dei Mercanti) ed era molto più grande dell’altra. Ecco, il “consolato”, si trovava proprio presso Santa Maria Maggiore. Ma perché in questo luogo? Il motivo è semplice: questo era il centro della vita cittadina. Qui si trovavano banchi e botteghe di mercanti e artigiani e, a ridosso delle due chiese e della curia, vi erano la pescheria, il macello e il mercato pubblico di generi alimentari e di altri prodotti di uso comune. Dove ora trovate l’immenso Duomo, nell’XI secolo, avreste potuto comprare della verdura, scegliere merci sui banchi disposti lungo i vicoli, sentire il suono degli zoccoli dei cavalli. Poco più là nel tempo, all’inizio del XII secolo, i consoli fecero costruire delle tribune in un prato, detto “brolo”, sito vicino all’Arcivescovado. Da questo termine, che significa appunto “prato” deriverà il termine “broletto”, con il quale sarà chiamato, più avanti, il palazzo del comune.
Resti del battistero di San Giovanni
Ad ogni modo, i rappresentanti dei cittadini iniziarono, così, a sganciarsi della copertura dell’Arcivescovo, fin quando in seguito alla Pace di Costanza del 1183 (con la quale terminò il lungo conflitto tra l’Imperatore e la coalizione di comuni lombardi, detta Lega Lombarda), il Barbarossa concesse ai comuni alcuni diritti di spettanza regia, tra i quali il diritto di battere moneta, di riscuotere tasse e tributi, di amministrare la giustizia e di darsi delle leggi. Da questo momento, i comuni furono legittimati a governarsi da soli. Fu così che qualche anno dopo, tra il 1188 e il 1193, non lontano dalle cattedrali, iniziò a crearsi la sede del potere civile della città. Infatti, nel luogo in cui oggi ammiriamo Palazzo Reale, fu edificato il Broletto Vecchio (o Arengo), chiamato così per distinguersi da quello nuovo che vide la luce da lì a qualche anno. Fino al 1228, questo edificio fu la nuova sede dei consoli, i quali si spostarono in seguito nel Broletto Nuovo, di cui parleremo tra poco. L’Arengo, però, non venne abbandonato del tutto. Divenne, infatti, la sede del potere visconteo quando Matteo Visconti, divenuto Signore di Milano per aver sconfitto i Della Torre nel 1287, vi si insediò. Da questo momento, l’Arengo divenne il palazzo della Signoria, in cui vissero ed esercitarono i propri poteri tutti i duchi di Milano, fino a Galeazzo Maria Sforza che si trasferì nel Castello di Porta Giovia (ossia il Castello Sforzesco).
Palazzo Reale
Ma torniamo in epoca comunale. Nel 1228 il comune si trasferì poco lontano, oltre la cattedrale di Santa Tecla, in quella che oggi è la Piazza dei Mercanti. Dopo aver espropriato alcuni terreni, qui venne costruito un quadrilatero a portici chiuso, a cui vi si accedeva attraverso sei valichi, posti in corrispondenza delle sei porte della città, dalle quali prendevano il nome, a loro volta, i sei sestieri in cui era divisa. Innanzitutto, fu costruito il Palazzo della Ragione (ancora visibile), formato da un solarium, ovvero un piano superiore in cui si radunava il Consiglio generale del comune, e da un portico aperto in cui si svolgevano i commerci, si radunava il popolo e si assisteva alla vita politica della città. Da questo momento, il Broletto nuovo divenne il centro cittadino, in cui si svolgevano le esecuzioni nobiliari, alloggiava il podestà, si pronunciavano le sentenze di morte o le pene esemplari, venivano esposti i cadaveri dei nemici come monito per la popolazione. Ma anche il luogo in cui si mercanteggiava, si facevano affari e ci si divertiva. Qui avreste potuto vedere banchi dei cambiavalute, botteghe affollate con domestici dai panieri colmi, avreste potuto leggere i bandi esposti nella Loggia degli Osii, oppure avreste potuto assistere agli ultimi giorni di vita di un condannato richiuso in una gabbia appesa ed esposta agli eventi atmosferici.
Palazzo della Ragione
La Loggia degli Osii (tutt’ora visibile) era il luogo in cui si riunivano i consoli di giustizia All’inizio del Trecento, Matteo Visconti abbellì la facciata con gli stemmi del Comune e le insegne dei quartieri e fece aggiungere un balcone dal quale venivano proclamati bandi e sentenze (entrambi ancora visibili).
Loggia degli Osii
Qualche anno più tardi, furono terminate la Casa del Podestà e le Carceri da lui governate (entrambe non più esistenti e che si trovavano sul lato che dà verso Piazza del Duomo), che si aggiungevano alle altre nove della città. Ma chi era il podestà? Nei primi anni del comune, ai consoli, ossia coloro che gestivano gli interessi della città e amministravano la giustizia, si affiancarono due associazioni di cittadini liberi interessati a gestire gli interessi pubblici: la Motta, formata da mercanti (che avevano acquistato un grande peso nella società cittadina), piccoli nobili e proprietari fondiari, e la Credenza di Sant’Ambrogio, formata invece dai membri delle classi borghesi e popolari, soprattutto artigiani e bottegai, volta alla tutela dei diritti della classe lavoratrice. Questa coesistenza di voci portò inevitabilmente a frequenti contrasti tra le parti che dovevano essere, in qualche modo, risolti. A questo scopo, nacque la figura del podestà, un esperto di leggi forestiero che non abolì le strutture amministrative del comune, ma si mise a capo di esse per gestirne affari e interessi. Alla fine del XII secolo, il governo consolare si avviò alla decadenza, sostituito quindi da quello podestarile.
Negli stessi anni in cui si terminò la casa del podestà, fu costruito anche il palazzo della Credenza di Sant’Ambrogio (dove poi fu costruito il Palazzo dei Giureconsulti, tutt’ora visibile, voluto da Pio IV de’ Medici nel Cinquecento), sul lato opposto a quello della Loggia degli Osii. Da questa associazione, emerse Napo Torriani, che si impossessò a titolo perpetuo della carica di anziano della Credenza, attuando così il controllo della famiglia della Torre su Milano, instaurando la prima forma di governo signorile. E, nel 1272, fece erigere nel Broletto una torre (poi inglobata nel Palazzo di Giureconsulti), che divenne la torre civica della città, in sostituzione della precedente, quella dei Faroldi sul lato opposto della piazza.
Palazzo dei Giureconsulti
Sullo stesso lato della Loggia degli Osii, Azzone Visconti fece costruire un portico destinato alle operazioni commerciali e di banca, che poi divennero le Scuole Palatine nel Seicento (tutt’ora visibili). Dall’altro lato della Loggia, nello stesso periodo, il podestà Beccaria, fece costruire il Portico della Ferrata, uno spazio chiuso da inferriate in cui si tenevano le aste dei beni dei mercanti falliti.
Scuole Palatine
Nel Quattrocento, inoltre, venne costruito il Palazzo della Congregazione dei Mercanti, che ospitava l’ufficio degli statuti, la cui mansione era la registrazione e la trascrizione dei decreti ducali. Questa casa venne poi chiamata Casa dei Panigarola (tutt’ora visibile), dal nome della famiglia gallaratese che svolse questo compito fino al Settecento.
Casa dei Panigarola
Il Broletto, quindi, oltre a essere luogo di incontro per la popolazione, era il luogo del potere civile e della giustizia, dove sedevano i tribunali dei giudici del podestà e di tutti gli altri giudici di Milano, compresi quelli del consolato dei Mercanti. Qui la giustizia veniva anche custodita e comunicata al popolo attraverso l’affissione di sentenze scritte e liste di bandi, prima alla Casa del Podestà e poi alla Loggia degli Osii. Inoltre, ospitava cicli delle cosiddette “pitture infamanti”, che raffiguravano i condannati in contumacia, esposti all’onta della vergogna pubblica. E la giustizia veniva anche eseguita nel Broletto, perché venivano eseguite le punizioni esemplari, dalle condanne capitali alla gogna. Ma era anche il centro delle contrattazioni e di scambi di alto livello, data la presenza dei banchi dei notai, dei cambiatori, del mercato del grano e delle riserve di sale. Era l’espressione del potere comunale e non signorile, e fu per questo motivo che i Visconti, divenuti signori, si trasferirono all’Arengo.
Quanto, invece, al Castello Sforzesco, non era presente in epoca comunale. In quel periodo, infatti, lì dove ora sorge il castello avreste trovato una pusterla, ossia una porta minore: la pusterla Giovia. A metà del Trecento, questa fu inglobata nel Castello di Porta Giovia, costruito a cavallo delle mura, per volere di Galeazzo II Visconti. Il castello venne distrutto nel periodo della Repubblica Ambrosiana (ossia dopo la morte dell’ultimo duca Visconti, Filippo Maria, a metà del Quattrocento), ma poi fatto ricostruire pochi anni dopo dal duca successivo, Francesco Sforza.
Il centro di Milano, così come è stato descritto finora, era racchiuso in una cinta muraria, costruita dopo l’assedio del 1162 a opera del Barbarossa, che rase al suolo la città, distruggendo anche le mura precedenti. L’accesso avveniva attraverso sei porte e undici pusterle, ossia piccole porte di accesso ai camminamenti per le guardie di ronda che potevano essere usate come uscite o ingressi di emergenza in caso di assedio. Volendo semplificare in modo estremo, possiamo dire che Milano era divisa in sei sestieri, ossia in divisioni a spicchio che avevano il centro nel Broletto e che sviluppavano in direzione delle porte. Al centro, vi era la piazza con le due basiliche, l’Arengo e il Broletto nuovo; oltre al centro si sviluppavano le contrade (che formavano i sestieri) fino alle mura. Oltre ad esse, vi era il contado.
Ma cosa potete vedere di questi edifici oggi? In realtà, non molto. Per quanto riguarda Piazza del Duomo, nel percorso sotterraneo della cattedrale, è possibile visitare l’area archeologica con i resti del battistero di San Giovanni (quello di Santa Maria Maggiore) e della basilica di Santa Tecla. In piazza dei Mercanti, se vi ponete con le spalle al Palazzo della Ragione (quello al centro) e girate in senso orario, potete vedere la Loggia degli Osii, le Scuole Palatine, la casa dei Panigarola e il palazzo dei Giureconsulti con la torre. Quanto alle porte e alle pusterle di epoca medievale, rimangono soltanto l’Arco di Porta Ticinese e gli Archi di Porta Nuova. Invece, la pusterla di Sant’Ambrogio (che si trova accanto alla basilica omonima) non è di epoca medievale, ma è stata ricostruita, seppur fedelmente, nel 1939.
Dopo avervi raccontato qualcosa della Milano comunale, non mi resta che darvi qualche consiglio di lettura. Se volete assaporare in modo vivido l’atmosfera della città in epoca medievale, vi suggerisco “Il filo di luce” di Valeria Montaldi, edito da Rizzoli. La competenza dell’autrice nella ricostruzione dell’ambientazione e del contesto storico è in grado di catapultarvi nel modo dei setaioli milanesi del Quattrocento e di farvi vivere quella città che vi ho descritto in questo articolo. Il secondo romanzo che vi consiglio è “L’eroe di Milano” di Andrea Frediani, che ambienta la vicenda di due ragazzi, Alberto da Giussano e Alberto da Cairate, nel periodo del conflitto tra il Barbarossa e la Lega Lombarda. Una lettura perfetta per chi voglia approfondire il periodo dei Comuni.