recensione, SAGGIO

“L’ingegno e le tenebre” di Roberto Mercadini

“Forse per un’artista c’è un unico onore più grande del ricevere un soprannome. Divenire noto con il proprio semplice nome di battesimo, eclissando le miriadi di omonimi. (…) Cosa serve per farsi un nome? Perché un artista si stagli sullo sfondo degli anonimi, diverso, inconfondibile? Serve una prospettiva nuova, serve uno sguardo diverso. Serve adottare un punto di vista sulle cose di cui nessuno prima si era curato.”

Premessa: il Rinascimento è il mio periodo storico preferito e Michelangelo e Leonardo sono due dei personaggi del passato che più amo, quindi ho letto un’infinità di romanzi, saggi, monografie e biografie dedicati a loro e al periodo in cui sono vissuti (tra i quali anche alcuni dei testi citati nella bibliografia de “L’ingegno e le tenebre”, compreso “Le vite” di Giorgio Vasari). Ho voluto fare questa breve precisazione per far meglio comprendere la meraviglia de “L’ingegno e le tenebre” di Roberto Mercadini, edito da Rizzoli. Infatti, nonostante conoscessi gli eventi e i personaggi che si ritrovano nel libro, nonché le biografie dei due protagonisti, ho trovato questo saggio estremamente meraviglioso.

Su una linea parallela, in brevi capitoli alternati che seguono la linea del tempo, Mercadini ci racconta le vite di due dei più grandi artisti della Storia, due titani: Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. E la prima particolarità è che non si tratta di una biografia esaustiva, nella quale viene riportato ogni evento delle vite dei due. Lo scopo dell’autore è, infatti, quello di confrontare i due geni, per farne risaltare l’eccezionalità. E lo fa utilizzando gli episodi e i momenti più significativi delle loro esistenze. Così facendo, ci mostra le opposizioni dei loro caratteri e delle loro personalità, ma anche i punti in comune nelle loro vite, come alcuni progetti impossibili da realizzare sui quali entrambi si sono intestarditi. Inoltre, attraverso il confronto con altri importanti artisti coevi, ci mostra quanto il loro genio spiccasse su tutti.

Tra di loro ci sono ventitré anni di differenza, ma le diversità non si fermano soltanto all’anagrafe. Leonardo e Michelangelo sono, infatti, due personaggi agli antipodi, come il giorno e la notte.

Leonardo è un uomo bello, pacato e riflessivo, elegante nell’abbigliamento e nel portamento, vive da gran signore nonostante non possa permetterselo, è un uomo di corte, quindi è piacevole e amabile. Però non ha ricevuto un’istruzione e non conosce il latino; tutto ciò che ha appreso lo ha studiato da autodidatta. Inoltre, non ha alcun interesse per Dio e la religione. Ha l’abitudine di non portare quasi mai a termine le commissioni e i suoi tempi di lavoro sono immensamente dispersivi. La sua mente è un continuo groviglio di pensieri e studi: nonostante abbia davanti agli occhi un obiettivo, riesce sempre a trovare qualcosa che devia la sua attenzione. Leonardo vuole “fermare con l’arte ciò che è impossibile da fermare, evanescente, inafferrabile” e osserva il mondo come un bambino, studiando tutto perché vuole conoscere tutto.

“È come se camminasse nel buio, con la visione periferica al massimo dell’importanza. Vede un oggetto davanti a sé, lo guarda, ma fissandolo si accorge con la coda dell’occhio che c’è qualcos’altro lì vicino. Allora sposta lo sguardo per mettere a fuoco questo nuovo oggetto, ed ecco che, così facendo, un terzo elemento entra nel suo campo visivo, costringendolo a spostare nuovamente lo sguardo.”

Michelangelo, invece, è sgraziato e trasandato nell’abbigliamento, vive da povero, al limite del degrado, nonostante sia immensamente ricco. Odia le comodità, ma più in generale la civiltà, ed è scontroso, iracondo e non si fida di nessuno, insomma ha un caratteraccio, è un lupo solitario che vuole differenziarsi da tutti. È, però, un raffinato letterato, profondo conoscitore di Dante. È profondamente religioso. Onora tutte le commissioni (e quando non le porta a termine ha delle valide ragioni) e lo fa in tempi rapidi. Michelangelo non vede nient’altro che ciò che ha di fronte, il suo obiettivo, e non si ferma finché non lo ha raggiunto. Vuole superare i più importanti colleghi del tempo e diventare il più grande scultore della Storia.

“Michelangelo, artista sublime, amico dei papi, raffinato autore di sonetti, profondo conoscitore di Dante è anche questo: un uomo che definito barbarico, bestiale.”

Ecco, l’autore scava nel genio di questi due personaggi, nelle loro anime con un modo di raccontare incredibile. Avvincente come una leggenda, riesce a creare una magia che tiene incollato il lettore alle pagine.

Ora vi darò due motivi per cui consiglio questa lettura a quanti non abbiano confidenza con i saggi o con il Rinascimento. Innanzitutto, lo stile fresco, frizzante, accattivante; inoltre, il modo in cui Mercadini riesce a condensare fatti i fatti storici che fanno da sfondo alle biografie dei due protagonisti e le vite dei personaggi che con loro hanno interagito. Senza mai sminuire nulla, ma anzi, con grande competenza, riesce a riassumere eventi complessi in modo sublime. E nello stesso modo riesce a restituirci l’analisi di importanti opere d’arte, che immerge nel contesto nel quale hanno visto la luce e che utilizza per spiegare il periodo storico.

Ora, un motivo per cui, invece, lo consiglio agli appassionati come me di Rinascimento e di questi due grandissimi geni. Mettendo in risalto luci e ombre dei due artisti fiorentini, Mercadini ce li racconta come nessun altro ha saputo fare! Tra le pagine di questo libro, l’autore insinua dubbi, crea domande, azzarda risposte; mette a nudo Leonardo e Michelangelo, scavando in profondità. E, nonostante possa sembrare un obiettivo complesso, il risultato è assolutamente godibile e lineare. Ci accompagna tra le pieghe del tempo, mostrandoci la meraviglia del Rinascimento, mettendo insieme i tasselli di un puzzle che ci portano a comprendere meglio i due artisti e lo fa in un modo così appassionante da impedire al lettore di staccare gli occhi dalle pagine.

Insomma, “L’ingegno e le tenebre” è un libro meraviglioso, una lettura straordinaria, un viaggio infinitamente appassionante. A mio avviso, senza dubbio il miglior libro del 2022!

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recensione, REVIEW PARTY

“Il messaggero degli Asburgo” di Coralie Winka – Review Party

Gand, 1477. Sullo sfondo delle Fiandre dei tessuti, in guerra con la Francia di Luigi XI, si svolge il romanzo breve di Coralie Winka, “Il messaggero degli Asburgo”, edito da Literary Romance. Si tratta di un romance storico che vede protagonista Clotilde Vaast, la figlia di un mercante di tessuti, nonché giovane sarta della duchessa Maria di Borgogna, e Hans Gerber, cavaliere dell’Arciduca d’Austria Maximilien e messaggero del Sacro Romano Impero. È il destino a mettere il giovane e valoroso Hans sul cammino della bella Clotilde, ma lo stesso destino ha piani diversi per l’avvenire della fanciulla. L’amore sarà sufficiente a spezzare le catene che, da secoli, stringono i polsi delle donne?

Tra verità storica e adattamento narrativo, l’autrice ricostruisce il contesto storico in modo fedele, riproponendo la situazione sociopolitica delle Fiandre di fine Quattrocento, oggetto di guerre e rivendicazioni da parte di sovrani stranieri (in particolare del re di Francia Luigi XI), alla morte del duca di Borgogna Carlo il Temerario. Il lettore ha modo, così, di ripercorrere le problematiche legate alla successione, le insurrezioni scatenate dal malcontento popolare, i rapporti con i sovrani stranieri.

Anche l’ambientazione è ricostruita in modo accurato, tra tessuti lucidi, fili multicolore, taverne, tornei, prigioni, cavalieri e stanze nobiliari. La prosa è delicata e adeguata al periodo narrato; la narrazione è scorrevole e incalzante.

L’amore avventuroso e romantico tra Clotilde e Hans la fa da padrone, ma in questo romanzo è ben evidenziata anche la condizione della donna sul finire del Medioevo. La sua vita ha valore solo se incatenata a quella di un uomo, che si tratti di un matrimonio per continuare l’attività di famiglia o di un’unione pe permettere di esercitare un diritto di nascita, come quello di regnare. Donne utili solo per proficue alleanze, mere merci di scambio, sempre soggette alla potestà di padre o marito, anche quando i titoli di nascita sarebbero sufficienti per la loro emancipazione. Ma la giovane Clotilde è una ragazza coraggiosa e determinata a non cedere alle consuetudini.

Riuscirà nell’ardua impresa di vivere l’amore? Lo scoprirete solo leggendo “Il messaggero degli Asburgo”! Una lettura piacevole e scorrevole che, seppur breve, riesce a far palpitare i cuori senza dimenticare di far immergere il lettore nella suggestiva cornice medievale.

BLOG TOUR

“La figlia di Cesare” di Andrea Oliverio – Blog Tour

Seconda tappa per il blog tour del nuovo romanzo di Andrea Oliverio, “La figlia di Cesare”, organizzato da Roberto Orsi di Thriller Storici e Dintorni, che ringrazio per l’invito.

Questo nuovo romanzo si pone come terzo e ultimo capitolo della saga dedicata a Giulio Cesare. Ci troviamo nella Roma repubblicana nel 49 a.C.; a reggere il governo della città c’è il magister equitum, Marco Antonio e il popolo è diviso in due fazioni: chi sostiene il Pontefice Massimo Gaio Giulio Cesare e chi, invece, parteggia per il rivale Gneo Pompeo Magno. Addirittura, c’è chi pensa anche a una terza via. A Roma, insomma, il fantasma della guerra civile non può mai dirsi allontanato.

Protagonista del romanzo è il centurione Lucio Servilio Verre e, in questa lotta per il potere tra Cesare e Pompeo, in primo piano troviamo l’esercito romano e le battaglie tra gli schieramenti. Verre si ritrova, infatti, costretto a lasciare Roma e la sua amata Letizia per partire alla volta dell’Illiria ad affrontare l’esercito di Pompeo. È un centurione, un ufficiale, e per lui, come per gli altri soldati, vige il giuramento di servire l’Aquila fino alla morte. A ogni soldato romano, infatti, era imposto il sacramentum, il giuramento di fedeltà pronunciato, in una solenne cerimonia al termine dell’addestramento militare, proprio davanti all’Aquila della legione, e che veniva ripetuto ogni anno.

“Giuro di servire e obbedire alla mia legione, giuro di eseguire i suoi ordini e di seguirla ovunque essa mi conduca, di non abbandonare mai le insegne, di non darmi alla fuga, di non uscire dalle mie fila, se non per afferrare un’arma o attaccare un nemico oppure per aiutare un compagno. Prometto, inoltre, di essere fedele alla Patria, al Senato e al popolo romano”

Queste erano le probabili parole pronunciate dai legionari, così come citate in alcune fonti, che pongono come primo impegno proprio quello di obbedire. Ma rispettare questo voto, spesso, per un soldato significa andare contro la propria coscienza. E già alla partenza per questa battaglia, notiamo come Verre sia combattuto tra il dovere di eseguire gli ordini e il desiderio di restare accanto a Letizia. Ma “obbedire agli ordini: questo è quello che deve fare un buon soldato” dice Tito Pullo, padre di Letizia, a un suo sottoposto, e questo è ciò che chiede Roma ai suoi uomini. Cosa succede, però, se gli ordini appaiono sbagliati? È qui che in alcuni soldati si genera un tormento interiore che li porta a chiedersi se sia giusto eseguire quanto impartito dai superiori anche a discapito delle proprie convinzioni. Gli ordini, infatti, possono sembrare senza senso, possono apparire in contraddizione con gli interessi delle legioni, eppure a un soldato è richiesto il rispetto assoluto. È sempre Tito Pullo a dire “Ricorda ragazzo: che ti piaccia o no, gli ordini vanno rispettati anche quando ritieni che non abbiano senso. I comandanti comandano, i soldati eseguono”.

E ordini come quelli di violentare i civili, di saccheggiare le città, di uccidere innocenti sono quelli che soldati come Verre faticano a sopportare, ma che sono comunque tenuti a rispettare. Perché ciò che contraddistingue un buon soldato è proprio questa capacità di rispettare il proprio ruolo, la gerarchia, di eseguire le direttive, lasciando dubbi e titubanze relegate nell’anima. “Non vado fiero di ciò che ho fatto, ma sono un soldato e obbedisco agli ordini.” L’autore, con il suo stile avvincente e fluido, è molto abile nel calare il lettore nei panni di questi soldati spesso vittime di una crisi interiore che vede contrapposta la coscienza al dovere. Ed è nel momento in cui un legionario vede la realtà infrangersi contro i propri ideali, che diventa più difficile mantenere fede al giuramento di servire Roma.

Infatti, nel romanzo troviamo anche traccia di chi, in questo conflitto interiore, lascia prevalere la coscienza, infrangendo il sacramentum: i disertori. “Non volevamo morire guidati da un comandante incapace e da un centurione ubriacone”: parole di chi, contravvenendo agli ordini a discapito dell’onore, preferisce seguire un ideale.

Faccio i miei complimenti ad Andrea Oliverio, perché “La figlia di Cesare” è un romanzo davvero appassionante, curato e storicamente impeccabile.  

recensione, REVIEW PARTY

“Il cimitero di Venezia” di Matteo Strukul – Review Party

Venezia, 1725. La Venezia del doge Alvise Mocenigo è piegata da un’epidemia di vaiolo. Ma la malattia non è l’unica piaga che colpisce la città: una nobildonna viene ritrovata con il petto squarciato nelle acque fredde della laguna. Il sangue macchia le acque di una città che cerca in ogni modo di nascondere il proprio declino. Il doge, in quei giorni, però, è angustiato da un dipinto del più importante pittore della città, Antonio Canal, detto Canaletto. In una delle sue ultime e celebri vedute, egli ha casualmente ritratto un nobile molto in vista in uno dei luoghi più poveri di Venezia, il Rio dei Mendicanti. Decide così di convocare l’artista per chiedere spiegazioni in merito e per affidargli il compito di scoprire per quale motivo l’uomo si trovasse in quel luogo. Ma quell’indagine, che lo obbliga ad attività alle quali non è abituato, lo condurrà fin dove nemmeno la sua mente avrebbe immaginato. Fino all’inevitabile resa dei conti!

Questa è la trama del nuovo thriller storico di Matteo Strukul, “Il cimitero di Venezia”, edito da Newton Compton Editori.

Con la prosa sorprendente alla quale ci ha ormai abituati, Strukul ci accompagna nelle pieghe della Venezia illuminista, nei meandri dei salotti, catapultandoci dalle sale del potere ai bassifondi della città, in un groviglio di indagini, pedinamenti, supposizioni e ipotesi, in un caleidoscopio di figure simbolo di Venezia. E un ruolo importante lo gioca la ricostruzione dell’ambientazione che è impeccabile e immersiva. Tra parrucche incipriate, spade, tricorni, tabarri e larve, attraverso le immagini tratteggiate dalle sue parole, Strukul ci mostra la Venezia sul finire della sua gloria, in un libro in cui c’è spazio per gli elementi caratteristici dei più grandi classici: amore, avventura, intrighi, congiure, suspense, indagini. E ciò che davvero stupisce, a ogni romanzo sempre più, è l’abilità dell’autore di dipingere con le parole e di rievocare con esse l’essenza di una città e di un’epoca straordinaria. Una maestria che, anche a prescindere dalla trama, riesce a incantare il lettore.

Lo stile ipnotico rende il romanzo scorrevole, fluido al punto che le pagine scorrono senza che il lettore se ne renda conto, ed è caratterizzato da un lessico accurato e ricercato, che riesce a innalzare il livello di immersione nella vicenda. Uno dei punti di forza dell’autore è, infatti, la capacità di adattare in modo sorprendente il lessico al periodo narrato. Il lettore riesce così, senza nessuno sforzo, a capire immediatamente in quale periodo storico sia ambientata la vicenda di ogni suo romanzo.

La caratterizzazione dei personaggi è precisa e incisiva, sia per il protagonista che per i personaggi secondari. In particolare, la figura del Canaletto assume una veste credibile, non di investigatore temerario, ma al contrario di incerto e inesperto strumento nelle mani del doge, con in tasca soltanto la certezza di voler proteggere la sua amata città. Inoltre, il personaggio femminile che affianca il protagonista è una figura interessante, una donna indipendente, coraggiosa e forte. Ogni personaggio risulta, così, estremamente affascinante, parteggi esso per il bene o per il male. Molto interessante anche la focalizzazione sul mestiere del pittore e del vetraio.

La trama è avvincente e imprevedibile; in essa, l’autore ha saputo tirare fili invisibili fino a formare una matassa impossibile da districare, che rotola sempre più velocemente fino all’epilogo inaspettato. Grazie a una conoscenza viscerale della storia di Venezia e a una preparazione eccellente, è riuscito a intersecare nella trama temi originali e anche molto attuali.

Il cimitero di Venezia” non è soltanto un thriller storico avvincente, ricco di passione e tormento. È anche l’affresco di una città unica in un’epoca affascinante. Ed è una prova ulteriore che l’abilità di Matteo Strukul di raccontare la Storia e la bellezza del nostro Paese è ineguagliabile!