
Nel cuore di Padova, proprio nel luogo in cui, in antichità, sorgeva l’arena romana, oggi si può ammirare un capolavoro assoluto dell’Arte, divenuto nel 2021 Patrimonio dell’Umanità UNESCO: la Cappella degli Scrovegni.
In questa chiesa, che fu acquistata nel 1300 dal noto banchiere padovano Enrico Scrovegni per renderla la propria cappella privata, Giotto creò, in appena 625 giornate di lavoro, il più incredibile ciclo di affreschi che si possa immaginare, straordinariamente conservato.
Davanti a tanta meraviglia, infatti, noi spettatori non possiamo far altro che rimanere a bocca aperta per l’impareggiabile abilità del Maestro toscano. E quando pensiamo che quelle immagini, così rivoluzionarie per l’epoca in cui furono affrescate, e quei colori, quei tratti sono sulle mura di quella piccola cappella da oltre settecento anni, bè la meraviglia diventa stupore.
Infatti, entrando nella cappella ci colpiscono due considerazioni.
Innanzitutto, la consapevolezza che quel ciclo pittorico ha rivoluzionato la Storia dell’Arte, perché il suo autore ha qui introdotto il realismo, la prospettiva, i sentimenti, le passioni, la minuzia dei dettagli, i finti marmi, il trompe-l’oeil e altre suggestioni che, fino a quel momento, non erano mai state nemmeno pensate, nonché un vero e proprio trionfo del colore. Inoltre, guardando soprattutto al Giudizio Universale, ma anche nel terzo registro (quello dei Vizi e delle Virtù), possiamo fare un viaggio nella mente dell’uomo medievale, perché in quegli affreschi possiamo vedere le sue paure, le sue speranze, la sua spiritualità. Infatti, guardando con gli occhi di un uomo medievale, ad esempio, le torture inflitte ai dannati nell’affresco, possiamo vedere torture che venivano davvero perpetrate tutti i giorni nella sua realtà, erano quindi per lui vere e reali. Infatti, dobbiamo ricordare che questi cicli pittorici avevano lo scopo di insegnare il Vangelo a tutta la popolazione, ma anche quello di far vedere cosa accadesse a quanti non seguivano la Parola di Dio, pertanto facevano leva sulle paure più comuni dell’uomo.
Poi, possiamo guardare a tutti gli affreschi come ad un viaggio nel mondo del Medioevo perché Giotto ha sì riprodotto i fatti relativi alla vita di Gesù e di Maria, ma lo ha fatto dando alle figure le sembianze degli uomini e delle donne del suo tempo, ad esempio, nelle vesti, e ha introdotto particolari a lui noti per suo vissuto, come la raffigurazione della cometa di Betlemme come la cometa di Halley, che lui aveva osservato nel cielo sopra Firenze nell’ottobre 1301.

Ma veniamo alla storia di questa meraviglia.
Nel febbraio del 1300, appunto, Enrico Scrovegni, figlio di quel Rinaldo che Dante conficcò nel settimo cerchio dell’Inferno tra i dannati per usura, acquistò l’intera area dell’arena romana per farne la propria residenza. Tra questi possedimenti, vi era una cappella che il banchiere destinò a sua residenza eterna e, affinché potesse bearsi anche nella morte di qualcosa di meraviglioso, chiamò ad illustrarla Giotto che, all’epoca, aveva trentasei anni. Questi iniziò il lavoro, insieme a una quarantina di allievi, il 25 marzo del 1303, coadiuvato dal teologo Alberto da Padova. Il clima in cui Giotto lavorò alla cappella fu quello in cui venne concepita un’altra opera grandiosa: la Divina Commedia. Infatti, appena tre anni prima, papa Bonifacio VIII aveva indetto il primo Giubileo della Storia, introducendo l’obbligo, per quanti volessero beneficiare dell’indulgenza plenaria, di visitare le basiliche San Pietro e di San Paolo per trenta o quindici giorni (a seconda che si fosse romani o forestieri). E questo pellegrinaggio fu certamente compiuto sia da Giotto che da Dante Alighieri, di soli due anni più vecchio del primo. Pertanto, con ogni probabilità, entrambi furono influenzati da questo clima religioso e culturale nell’ideare le loro opere più famose.
Ora, immaginiamo di entrare nella Cappella. I nostri occhi saranno subito attratti dalla grande volta blu, simbolo della sapienza divina, realizzata con l’azzurrite, punteggiata di tante stelle a otto punte e attraversata da tre fasce trasversali. È davvero uno spettacolo impagabile!
Il racconto di Giotto, però, inizia con un prologo in cielo, nella lunetta dell’arco trionfale, in cui Dio impartisce all’arcangelo Gabriele l’ordine di avviare il riscatto dell’umanità.
Adesso concentriamoci sulle pareti. Il primo registro, quello più in alto, racconta la vita di Maria e dei suoi genitori, Anna e Giacchino. Tra questi riquadri, quello che colpisce maggiormente è quello dell’incontro alla Porta Aurea di Gerusalemme, dove possiamo vedere il primo, vero bacio della Storia dell’Arte, tra Anna e Gioacchino; un bacio d’amore, intenso.

Scendendo con gli occhi, incontriamo il secondo e il terzo registro, che narrano le Storie di Gesù. Fissiamo lo sguardo sulla scena della Natività. Qui, la postura di Maria è così naturale e protettiva da emanare una tenerezza mai veduta prima in una Natività. Poi, spostandoci, verso il Bacio di Giuda, nella parete sud, troviamo un Gesù che per la prima volta viene reso umano. Infatti, non è dipinto frontalmente, distaccato dalla scena, com’era sempre stato fatto fino a quel momento. Giotto lo dipinge di lato, con il viso rivolto verso Giuda e uno sguardo penetrante e severo.

Nel quarto registro, infine, ad altezza d’uomo, troviamo il ciclo dei Vizi e delle Virtù. Infatti, fino a questo momento, Giotto ha illustrato la Rivelazione divina. Nel quarto registro, l’uomo viene messo di fronte alla scelta del bene o del male, che lo condurrà, in ultimo, davanti al Giudizio Universale della controfacciata. In questo registro, troviamo sette virtù con i loro sette vizi corrispondenti, che creano due percorsi terapeutici: quello delle virtù cardinali (prudenza, giustizia, temperanza e fortezza) che conduce al Paradiso terrestre e alla felicità terrena; e quello delle virtù teologali (fede, speranza e carità) che conduce al Paradiso celeste e alla felicità eterna. È stato questo registro a colpire maggiormente la mia attenzione perché mi ha trasportata nel Medioevo e mi ha portata a immaginare l’uomo di quel periodo mentre osservava la rappresentazione dei vizi e delle virtù e decideva come fosse più saggio comportarsi: da una parte il peccato e dall’altra la terapia corrispondente.
E, infine, arriviamo alla controfacciata dove campeggia l’immenso e magnifico Giudizio Universale. In alto, due angeli arrotolano il cielo come se fosse un sipario; alle loro spalle le porte di Gerusalemme. Sotto di loro, i santi. Al centro, il Cristo Giudice, ai cui lati siedono i dodici apostoli. A destra, un fiume di fuoco diviso in quattro braccia, si stacca da Cristo e scende verso la lugubre concezione medievale dell’Inferno, luogo di pene e tormenti strazianti e indicibili, con un gigantesco Lucifero blu nerastro che domina la scena. Intorno a lui, uomini e donne sottoposti a torture efferate, le stesse che erano ampiamente praticate in quell’epoca, e decine di diavoli blu ciano. In particolare, si scorge un vescoco, con un sacchetto in mano, intento a benedire un uomo: qui Giotto ha voluto condannare la pratica della simonia. A sinistra, le schiere degli angeli con due processioni degli eletti, tra i quali possiamo scorgere anche l’autoritratto di Giotto, dipinto con la veste rosa e il cappello giallo. In basso, i defunti nudi escono dalle tombe. Un affresco davvero incredibile per la quantità di dettagli e per i colori forti e vivi; quasi un libro di Storia medievale: magnifico!

Giunti al termine di questo vero e proprio viaggio nel Medioevo, non possiamo non sentirci appagati e sazi di Storia e Arte, consapevoli di aver visto uno dei luoghi più incredibili del mondo.
Se volete conoscere meglio quest’opera meravigliosa, vi consiglio la lettura di “La Cappella degli Scrovegni. La rivoluzione di Giotto” di Giuliano Pisani.