
Inizia oggi il blog tour del romanzo di Oriana Ramunno, “Il bambino che disegnava le ombre“. Come contributo al tour, ecco la mia recensione.
“.. nell’improvvisa consapevolezza di cosa rappresentava Auschwitz per quei dottori: un luogo dove tutto era permesso, dove le cavie erano esseri umani di cui si poteva disporre liberamente..”
Sul finire del 1943, nel campo di concentramento di Auschwitz, il dottor Sigismund Braun viene trovato morto nel suo studio. Per fare chiarezza sull’accaduto, il comandante del lager chiede l’intervento del più importante criminologo del Reich, Hugo Fischer. Inizia, così, per l’investigatore un viaggio alla scoperta della verità, che non si fermerà alla risoluzione del caso ma che gli farà aprire gli occhi sul Reich e i suoi obiettivi.
Questa è la trama de “Il bambino che disegnava le ombre”, scritto da Oriana Ramunno ed edito da Rizzoli.
Protagonista del romanzo è il criminologo Hugo Fischer, membro del partito nazista più per convenienza che per convinzione; tedesco ma incredulo di quanto apprende sui campi di sterminio, dotato di una coscienza che lo fa inorridire davanti agli scempi compiuti ad Auschwitz. Un personaggio umano che incarna tutte le sensazioni di aberrazione e incredulità che albergano in ognuno di noi. Un protagonista nel quale il lettore si immedesima, provando le medesime sensazioni di rabbia, orrore, impotenza; che lentamente prende coscienza della follia che dilagava in Germania, del mostro che la governava indisturbato. Ecco che si rende conto di come quel male si fosse insinuato nella mente del popolo come un subdolo parassita, annichilendo la ragione e la capacità di riconoscere ed osteggiare la pazzia; “Una macchina infernale costruita anno dopo anno con ingranaggi minuscoli, che erano passati inosservati e che ora non potevano essere rimossi”. Hugo Fischer è un uomo che non si è abituato all’orrore perpetrato dal partito al quale appartiene, sensibile, scosso da un sincero e profondo dolore per tutto ciò che succede, spaventato da quella fede cieca nel Reich che vede negli occhi di chi lavora al campo, specchio di una popolazione plagiata, perdutamente devota e obbediente ad un volere sinistro, che vede in Adolf Hitler il nuovo messia, il salvatore della Germania. Un personaggio non contaminato dal seme dell’odio e dell’irragionevole obbedienza, pieno di dubbi e rimorsi. Un uomo che sente il peso di una coscienza che lo pone davanti a quelle che sono anche sue responsabilità e che lotta contro l’incapacità di opporsi ad un meccanismo così potente, per paura di perdere tutto.
Complementare al protagonista è Gioele, un bambino ebreo, relativamente protetto dal dottor Mengele perché sua cavia personale; un bambino acuto, intelligente, che sente il peso del male del mondo sulle proprie spalle, che veda la verità della sua situazione e che soffre per la lontananza della propria famiglia.
Tra Hugo e Gioele si instaura un rapporto autentico, che mostra l’umanità del protagonista e che introduce i sentimenti in un luogo di morte, crudeltà e disperazione. Un rapporto che genera nel lettore la fiamma di una speranza, un bagliore nelle tenebre che hanno pervaso quel periodo.
Attraverso la figura del protagonista, il lettore è indotto ad interrogarsi e a trovare risposte ai quesiti più importanti. Soprattutto ci porta a riflettere sui motivi che hanno impedito una Resistenza efficace ad opera di quella parte di popolazione tedesca che si trovava in disaccordo con le idee naziste.
Inoltre, ci fa comprendere che gran parte dei cittadini tedeschi e del mondo non fosse a conoscenza di quanto realmente avvenisse nei campi di concentramento e cristallizza la lucida convinzione dei nazisti circa quel disumano e atroce sterminio, ponendo l’accento sulle idee che albergavano nelle loro menti e sui meccanismi che le producevano. Interessante anche il conflitto interno di alcuni esponenti delle SS, che portano a riflettere sul senso di umanità di chi stava tra le fila degli esecutori di morte.
Dalle pagine di questo romanzo traspare il modo in cui il folle piano di Hitler abbia potuto realizzarsi. L’autrice, mostrandoci la vita all’interno del campo di concentramento, concentrandosi sull’organizzazione e la struttura, ci trascina all’interno di quel segmento spazio-temporale per renderci partecipi. Inoltre, vengono affrontati i temi degli esperimenti medici di Mengele e della Resistenza tedesca al regime. Dalla trama, infatti, emergono i terribili esperimenti scientifici che hanno reso la realtà molto più atroce di qualsiasi finzione e il tema della Resistenza tedesca, una speranza, una fiammella che, seppur in modo non efficace ha rischiarato infinitesimali porzioni di oscurità; un’opposizione segreta realmente esistita al di fuori dei campi di concentramento.
La trama di romanzo giallo è avvolta e intrecciata con la Storia del campo di Auschwitz. È una trama lucida, ben organizzata e ricca di colpi di scena, tanto da non permettere di capire l’epilogo fino alla fine. Nel corso della lettura possiamo provare gli stessi sentimenti di impotenza, compassione e tremenda pena per quei deportati immaginari, che sono però spettri di persone reali che hanno subito gli stessi tormenti e il medesimo inferno.
Un romanzo equilibrato, che riesce a trasmettere l’orrore e la follia dei campi di sterminio, senza però utilizzare scene estremamente crude e forti. Nonostante la delicata forza con la quale l’autrice racconta gli episodi che mettono in risalto il funzionamento e la funzione del lager, il lettore riesce a percepire e sentire la drammaticità del luogo e di ciò che vi accadeva.
Lo stile narrativo risulta piacevole, delicato e incisivo allo stesso tempo. Le scene sono descritte con dovizia di particolari che non sconfina mai nel prolisso.
“Il bambino che disegnava le ombre” è una lettura interessante sotto diversi punti di vista; è un viaggio che, attraverso l’indagine del criminologo, ci racconta ancora qualcosa sul più grande crimine commesso dagli uomini.