INTERVISTA, Senza categoria

Due chiacchiere con gli autori: Carla Maria Russo e la famiglia Sforza

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “I venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza“, ho avuto il grande piacere di intervistare Carla Maria Russo in merito alla famiglia protagonista del romanzo. Ringrazio l’autrice per la disponibilità e vi auguro una buona lettura.

  • Il suo ultimo romanzo si colloca idealmente come terzo capitolo di una saga, iniziata con “La bastarda degli Sforza” e proseguita con “I giorni dell’amore e della guerra”, dedicata alla famiglia Sforza. Perché ha scelto, tra le molte importanti dinastie italiane, di raccontare le vicende proprio di questa famiglia?

In realtà, inizialmente ho scelto di raccontare la storia di Caterina Sforza, donna dal carattere e dalla vita estremamente interessanti. Questo, ovviamente, mi ha portato a conoscere molto da vicino la corte degli Sforza e dunque a incuriosirmi sulle loro origini. Ho trovato in effetti una storia molto avventurosa ed avvincente, dal momento che sono partiti da origini umilissime. Così ho deciso che mi sarebbe piaciuto narrarla.

  • La famiglia Sforza si pone come la seconda casata, seguita ai Visconti,  che ha guidato il ducato di Milano tra il Tardo Medioevo e il Rinascimento, prima dell’inizio delle dominazioni straniere. Tra Visconti e Sforza, quale fu la famiglia che più contribuì a fare di Milano una delle più importanti città italiane? E quali differenze possiamo cogliere tra i loro governi?

Sicuramente anche i Visconti hanno guidato il ducato con una certa capacità, in particolare con Gian Galeazzo Visconti, il quale tentò, senza riuscirci, di ampliare i confini dello stato espandendosi verso il centro Italia. Tuttavia il governo dei Visconti venne spesso vissuto dal popolo come dispotico e inutilmente crudele. Migliore fu il governo degli Sforza, in particolare di Francesco e Ludovico il Moro, soprattutto per lo sviluppo che seppero imprimere all’economia, promuovendo nuovi settori che avrebbero poi fatto la fortuna della Lombardia anche nei secoli successivi: la coltivazione del riso per scopi alimentari, ad esempio, quella del gelso, che permise di avviare la produzione della seta, il grande impulso dato a tutto il settore tessile, a quello meccanico e così via.

  • Ne “I venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza”, ci racconta del grande amore tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, la coppia che celebrò il passaggio dal dominio Visconti a quello degli Sforza; una vera rarità per l’epoca. Da quali fonti storiche ha potuto constatare l’esistenza di questo forte legame tra loro?

Da molteplici documenti. Basta leggere, ad esempio, la corrispondenza fra i due sposi o anche solo l’orazione funebre che Bianca pronunzia ai funerali del marito, così carica di affetto, di accorato rimpianto, di rimproveri a se stessa per aver spesso perseguitato Francesco con la sua gelosia. Il loro è stato un rapporto di amore ma anche di reciproca stima, come dimostra il fatto che Bianca è sempre stata associata a suo marito nella guida del ducato e sua ascoltatissima consigliera.

  • Relativamente a tale rapporto, nel corso del romanzo, più volte, assistiamo all’esposizione, da parte di Francesco Sforza, della teoria della diversità tra uomo e donna, che riflette la condizione della donna in quell’epoca. Per quale motivo ha sentito l’esigenza di ripetere questo concetto?

Perché i loro scontri su questo punto erano frequentissimi, a causa della gelosia di Bianca per i continui tradimenti di Francesco. Questo è stato forse il più forte motivo di disaccordo nel loro rapporto coniugale (l’altro è stato l’educazione del primogenito Galeazzo). Francesco incarna in tutto e per tutto un’ideologia, diremmo oggi, fortemente maschilista: il concetto di fedeltà, tassativo e ineludibile per Bianca, diventava molto più elastico per se stesso, al quale le avventure erano non solo concesse ma giustificate, sia come conseguenza della “natura virile degli uomini”, sia perché, in fondo, nulla sottraggono all’amore per la moglie, cui riteneva di essere fedele “nel cuore”. Bianca però, respingeva con veemenza questi argomenti, non solo perché era gelosissima del marito ma perché considerava il tradimento un insulto alla sua dignità di donna. Se la fedeltà è un valore, affermava Bianca, allora lo è per tutti, maschi e femmine. Ma non riuscirà mai a persuadere il marito. Da qui le frequenti liti e recriminazioni.

  • Leggendo il romanzo appaiono nette le differenze delle personalità e degli atteggiamenti dei tre esponenti della famiglia Sforza, Muzio, Francesco e Galeazzo Maria. Dal primo, concreto e valoroso, abituato a conquistare le vittorie con la propria spada, si arriva a Galeazzo Maria, arrogante e perfido, convinto che tutto gli fosse dovuto. Quale fu il duca Sforza peggiore?

Ovviamente il peggiore dei tre fu Galeazzo, che Bianca, forse a ragione, sospettava di avere ereditato alcuni disturbi caratteriali dei suoi avi Visconti. In effetti, esistono molte lettere dei suoi insegnanti che ne denunciano il carattere prepotente, vendicativo e spesso propenso a manifestazioni di eccessiva e inutile crudeltà. Di sicuro, poi, non aiutò l’approccio educativo da parte dei genitori, che fu molto contrastante: tollerante e permissivo da parte di Francesco, che considerava gli eccessi del figlio un problema legato all’età, destinato a correggersi da solo con il tempo, molto severo e rigoroso da parte di Bianca, che fu lasciata sola nel tentativo di correggere il ragazzo e inculcargli dei valori, dei limiti ai suoi impulsi eccessivi. A ciò va aggiunto che Galeazzo Maria Sforza avvertì quasi certamente il peso del confronto con quei due giganti che furono suo padre e suo nonno, vittoriosi e immensi in ogni campo e forse lo tormentò la consapevolezza di non essere alla loro altezza.

  • Un personaggio del romanzo che, indubbiamente, colpisce molto è Filippo Maria Visconti, l’ultimo duca di questa famiglia, dalla personalità molto particolare, che nel romanzo la sua penna è riuscita a restituire in modo molto nitido. Filippo Maria è stato davvero un personaggio così negativo?

Su Filippo Maria Visconti ho trovato una fonte inconfutabile: il suo segretario, cancelliere e amico carissimo Pier Candido Decembrio, il quale ha scritto una “Vita di Filippo Maria Visconti” che è stata per me fonte inesauribile di notizie. Certo, Filippo era una persona problematica e disturbata, afflitto com’era da difetti fisici e turbe caratteriali. Secondo Pier Candido Decembrio, molte delle sue ossessioni e disturbi trovavano una giustificazione nella destabilizzante storia familiare che si portava alla spalle, fatta di violenze, persecuzioni e crudeltà di ogni genere.

  • A quale dei personaggi si è avvicinata maggiormente durante la stesura del romanzo?

Mi avvicino a tutti personaggi perché il mio compito è rendere in maniera efficace la psicologia e la personalità di ognuno.

  • Nel romanzo si ritrovano alcuni aneddoti curiosi, come il vezzo di Francesco Sforza di tingersi i capelli. Questi particolari sono citati in fonti storiche o rientrano nella parte romanzata della storia? 

No, sono documentati e narrati da cronachisti dell’epoca.

  • Un’ultima domanda. C’è un altro personaggio storico o un’altra famiglia intorno al quale le piacerebbe costruire un nuovo romanzo?

Al momento, no. Per ora mi godo un periodo di “interregno”.

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recensione, Romanzo storico

I Venturieri

Nel suo nuovo romanzo “I Venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza”, edito da PiemmeCarla Maria Russo ci racconta, in un arco temporale di circa un secolo, la genesi e il successo di una delle dinastie più potenti della Storia d’Italia, gli Sforza, soffermandosi sulle due figure che l’hanno portata all’apice della società: Muzio e Francesco. 

La gloria della famiglia Sforza, infatti, affonda le radici nel Tardo Medioevo, nella campagna ravennate, quando un giovane e fiero contadino incontrò le truppe di un esercito accampate nei terreni della sua famiglia. Quel ragazzo era Muzio Attendolo, colui che diventò il capostipite della famiglia che rese grande Milano. Muzio, fuggito da casa una sera del 1385, contadino divenuto soldato per caso, ma ben presto appassionato e abile condottiero, prese il soprannome di Sforza, che sostituì al cognome originario. Le sue gesta iniziarono ad essere narrate nelle corti italiane e la sua fama iniziò a precederlo. Bello, forte, scaltro, fiero e leale; un capitano di ventura diverso dagli altri del suo tempo, animato da principi e ideali che andavano oltre le leggi della guerra. Il condottiero più ambito e rispettato, conteso da tutte le corti perché invincibile, pervaso da “un’ambizione mai doma, mai sazia, un’inquietudine che lo lasciava sempre insoddisfatto di ciò che aveva conquistato, sempre proteso verso ciò che gli mancava, ciò che ancora non possedeva, verso una gloria, un potere, una ricchezza che non gli parevano mai abbastanza”. Fu proprio quest’ambizione smisurata che gli permise di gettare le basi della gloria della famiglia che formò. Audace, coraggioso, sfrontato, inconsapevolmente nato con la stoffa del grande guerriero, autorevole e concreto; un capitano giusto, che mise i suoi soldati persino davanti ai propri interessi. Egli conquistò ricchezze immense e titoli che passò al suo figlio prediletto: Francesco Sforza, colui che riuscì nell’intento di diventare Signore di uno stato, del ducato di Milano. 

Proprio lo scorrere del tempo e delle pagine, ci mostra però come, con il passare delle generazioni (se ne avvicendano tre nel romanzo) e la conquista sempre maggiore del prestigio, anche le personalità dei membri della dinastia muti. Da un Muzio concreto e valoroso, abituato a conquistare con la propria spada ciò cui anelava, si arriva, infatti, ad un Galeazzo Maria, figlio di Francesco, arrogante e perfido, convinto che tutto gli fosse dovuto. Il lettore compie, così, un cammino nella Storia, ma anche un percorso nell’animo umano, che lo conduce a comprendere come, oltre all’indole innata, anche il contesto nel quale si forma la personalità degli uomini influisca sulla formazione del carattere. 

La caratterizzazione dei personaggi è magistrale, così come la ricostruzione del contesto che permette al lettore di conoscere gli eventi storici che fanno da sfondo alle vicende della famiglia. I personaggi sono estremamente umani, mondati dalla polvere del tempo e restituiti nella loro identità di persone, oltre che di personaggi storici; donne e uomini che ci vengono mostrati ad un livello intimo e profondo, ognuno con i propri sentimenti, pensieri e desideri. In particolar modo, è affascinante la caratterizzazione del duca Filippo Maria Visconti, che riesce a suggerire in modo vivido la particolarissima personalità di cui era dotato. Emblematica e sicuramente molto evocativa è la battuta con la quale l’autrice lo fa rivolgere a Francesco Sforza: “Volevi il comando assoluto, vero, Sforza dei miei coglioni!”. La grande capacità della Russo è, infatti, quella di scavare nella vita e nell’animo dei personaggi che hanno fatto la Storia e di riportarli in vita con straordinaria abilità.

La narrazione è fluida e molto scorrevole, caratterizzata da un linguaggio semplice ed efficace; quasi un secolo di Storia viene raccontato con uno stile affascinante, denso di emozioni, che al lettore quasi pare narrato da un cantastorie. I dialoghi sono corposi, trascinanti e precisi nel ricreare l’ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi; trasportano il lettore all’interno del racconto, trasmettendo la sensazione di viverlo in prima persona.

Le scene descritte sono pulsanti, incredibilmente ricche di vita; sono così realistiche da apparire vive, raccontate in maniera talmente intima da abbattere ogni confine temporale tra il lettore e i personaggi. L’autrice ci racconta la Storia in modo così affascinante, mostrandoci le figure storiche ad un livello così profondo che risulta quasi impossibile che siano vivi sono sulla carta e non in carne ed ossa davanti a noi. Stupisce il grado di familiarità che si riesce ad instaurare tra il lettore e i protagonisti del romanzo, dovuto all’abilità dell’autrice nel mostrarli anche impegnati in attività semplici e quotidiane, come ad esempio la giovane Bianca Maria intenta a scegliere l’abito più bello con il quale mostrarsi al futuro marito, nonostante le rimostranze della madre Agnese, “quante ore passate a persuadere le sarte a stringere un pochino di più l’abito affinché aderisse meglio al corpo e approfondire ancora un filino la scollatura, cercando di tenere sua madre e le balie lontane dalla sala di prova”. 

Le descrizioni sono così ricche da ricreare un intero mondo nella mente del lettore. I molti dettagli suggeriscono, infatti, una minuziosa ricostruzione dell’ambientazione, che viene inserita nel racconto attraverso uno stile leggero, tale da non appesantire la narrazione. È pregevole anche la ricostruzione della Milano tardo medievale. 

Nel romanzo, inoltre, viene ben cristallizzata la condizione della donna nel Tardo Medioevo, trattata come essere inferiore all’uomo, sottomessa e priva di libertà e diritti, vittima di ingiustizie e pregiudizi. Donne cui solo l’erudizione e la cultura permettevano un cambiamento e una presa di coscienza del proprio valore. “Parliamoci con franchezza, ragazzo, da quando in qua un uomo, con il matrimonio, perde la sua libertà? Anche da sposato continua a fare esattamente quello che ha sempre fatto, concedersi tutte le donne che vuole, andare dove vuole, tornare quando vuole e se vuole. È la donna che perde la libertà, anzi no, anche questa è una sciocchezza. Non perde niente perché la libertà di una donna non esiste, è un privilegio che riguarda solo noi uomini.

Ed è tale panoramica che permette al lettore di constatare la straordinarietà di personaggi come Bianca Maria Visconti, moglie di Francesco Sforza, che, grazie alla cultura, riuscì a far valere le proprie idee e diritti; una donna determinata, tenace, coraggiosa, astuta e lungimirante. Infatti, l’autrice è riuscita nell’intento di mostrare la fierezza delle donne che si avvicendano nella storia, il carattere con il quale si sono battute; donne che ci appaiono straordinariamente moderne e vicine a noi. 

Inoltre, questo romanzo ci rammenta, una volta di più, come la Storia sia fatta dalla scelte degli uomini, dal loro volere, e di come tutto possa complicarsi in un batter di ciglia, anche quando sulla carta pareva semplice e netto.

I Venturieri. La travolgente ascesa degli Sforza” è un libro ricco di emozioni vibranti, che ci mostra quanto il passato possa insegnarci; un libro che appaga la sete di conoscenza e riempie la mente e il cuore di Storia e fascino. 

BLOG TOUR, recensione

Blog tour de “Il bambino che disegnava le ombre” di Oriana Ramunno

Inizia oggi il blog tour del romanzo di Oriana Ramunno, “Il bambino che disegnava le ombre“. Come contributo al tour, ecco la mia recensione.

.. nell’improvvisa consapevolezza di cosa rappresentava Auschwitz per quei dottori: un luogo dove tutto era permesso, dove le cavie erano esseri umani di cui si poteva disporre liberamente..

Sul finire del 1943, nel campo di concentramento di Auschwitz, il dottor Sigismund Braun viene trovato morto nel suo studio. Per fare chiarezza sull’accaduto, il comandante del lager chiede l’intervento del più importante criminologo del Reich, Hugo Fischer. Inizia, così, per l’investigatore un viaggio alla scoperta della verità, che non si fermerà alla risoluzione del caso ma che gli farà aprire gli occhi sul Reich e i suoi obiettivi.
Questa è la trama de “Il bambino che disegnava le ombre”, scritto da Oriana Ramunno ed edito da Rizzoli.


Protagonista del romanzo è il criminologo Hugo Fischer, membro del partito nazista più per convenienza che per convinzione; tedesco ma incredulo di quanto apprende sui campi di sterminio, dotato di una coscienza che lo fa inorridire davanti agli scempi compiuti ad Auschwitz. Un personaggio umano che incarna tutte le sensazioni di aberrazione e incredulità che albergano in ognuno di noi. Un protagonista nel quale il lettore si immedesima, provando le medesime sensazioni di rabbia, orrore, impotenza; che lentamente prende coscienza della follia che dilagava in Germania, del mostro che la governava indisturbato. Ecco che si rende conto di come quel male si fosse insinuato nella mente del popolo come un subdolo parassita, annichilendo la ragione e la capacità di riconoscere ed osteggiare la pazzia; “Una macchina infernale costruita anno dopo anno con ingranaggi minuscoli, che erano passati inosservati e che ora non potevano essere rimossi”. Hugo Fischer è un uomo che non si è abituato all’orrore perpetrato dal partito al quale appartiene, sensibile, scosso da un sincero e profondo dolore per tutto ciò che succede, spaventato da quella fede cieca nel Reich che vede negli occhi di chi lavora al campo, specchio di una popolazione plagiata, perdutamente devota e obbediente ad un volere sinistro, che vede in Adolf Hitler il nuovo messia, il salvatore della Germania. Un personaggio non contaminato dal seme dell’odio e dell’irragionevole obbedienza, pieno di dubbi e rimorsi. Un uomo che sente il peso di una coscienza che lo pone davanti a quelle che sono anche sue responsabilità e che lotta contro l’incapacità di opporsi ad un meccanismo così potente, per paura di perdere tutto.


Complementare al protagonista è Gioele, un bambino ebreo, relativamente protetto dal dottor Mengele perché sua cavia personale; un bambino acuto, intelligente, che sente il peso del male del mondo sulle proprie spalle, che veda la verità della sua situazione e che soffre per la lontananza della propria famiglia.


Tra Hugo e Gioele si instaura un rapporto autentico, che mostra l’umanità del protagonista e che introduce i sentimenti in un luogo di morte, crudeltà e disperazione. Un rapporto che genera nel lettore la fiamma di una speranza, un bagliore nelle tenebre che hanno pervaso quel periodo.


Attraverso la figura del protagonista, il lettore è indotto ad interrogarsi e a trovare risposte ai quesiti più importanti. Soprattutto ci porta a riflettere sui motivi che hanno impedito una Resistenza efficace ad opera di quella parte di popolazione tedesca che si trovava in disaccordo con le idee naziste.
Inoltre, ci fa comprendere che gran parte dei cittadini tedeschi e del mondo non fosse a conoscenza di quanto realmente avvenisse nei campi di concentramento e cristallizza la lucida convinzione dei nazisti circa quel disumano e atroce sterminio, ponendo l’accento sulle idee che albergavano nelle loro menti e sui meccanismi che le producevano. Interessante anche il conflitto interno di alcuni esponenti delle SS, che portano a riflettere sul senso di umanità di chi stava tra le fila degli esecutori di morte.


Dalle pagine di questo romanzo traspare il modo in cui il folle piano di Hitler abbia potuto realizzarsi. L’autrice, mostrandoci la vita all’interno del campo di concentramento, concentrandosi sull’organizzazione e la struttura, ci trascina all’interno di quel segmento spazio-temporale per renderci partecipi. Inoltre, vengono affrontati i temi degli esperimenti medici di Mengele e della Resistenza tedesca al regime. Dalla trama, infatti, emergono i terribili esperimenti scientifici che hanno reso la realtà molto più atroce di qualsiasi finzione e il tema della Resistenza tedesca, una speranza, una fiammella che, seppur in modo non efficace ha rischiarato infinitesimali porzioni di oscurità; un’opposizione segreta realmente esistita al di fuori dei campi di concentramento.


La trama di romanzo giallo è avvolta e intrecciata con la Storia del campo di Auschwitz. È una trama lucida, ben organizzata e ricca di colpi di scena, tanto da non permettere di capire l’epilogo fino alla fine. Nel corso della lettura possiamo provare gli stessi sentimenti di impotenza, compassione e tremenda pena per quei deportati immaginari, che sono però spettri di persone reali che hanno subito gli stessi tormenti e il medesimo inferno.
Un romanzo equilibrato, che riesce a trasmettere l’orrore e la follia dei campi di sterminio, senza però utilizzare scene estremamente crude e forti. Nonostante la delicata forza con la quale l’autrice racconta gli episodi che mettono in risalto il funzionamento e la funzione del lager, il lettore riesce a percepire e sentire la drammaticità del luogo e di ciò che vi accadeva.


Lo stile narrativo risulta piacevole, delicato e incisivo allo stesso tempo. Le scene sono descritte con dovizia di particolari che non sconfina mai nel prolisso.


Il bambino che disegnava le ombre” è una lettura interessante sotto diversi punti di vista; è un viaggio che, attraverso l’indagine del criminologo, ci racconta ancora qualcosa sul più grande crimine commesso dagli uomini.