recensione, REVIEW PARTY

Review party de “Leonardo da Vinci. Il mistero di un genio” di Barbara Frale

Nel 1482, Leonardo da Vinci, per la prima volta, arrivò a Milano; a chiedergli di servire il duca di Milano, Ludovico Sforza, fu il suo mecenate, Lorenzo de’ Medici.

È proprio nel viaggio da Firenze a Milano che si snoda la trama di “Leonardo da Vinci. Il mistero di un genio“, il nuovo romanzo di Barbara Frale, uscito pochi giorni fa per Newton Compton Editori.

In questo libro, Leonardo da Vinci, in un momento di grande crisi artistica e personale, viene incaricato dal Magnifico di recarsi a Milano per offrire i propri servigi al Moro, per risvegliarsi dal torpore nel quale sembra essere caduto. Ad affiancarlo fino alla grande città degli Sforza ci sarà un inviato del Duca, Lisandro Dovara. Ma Lorenzo non è preoccupato soltanto per il genio smarrito dell’artista: una questione politica segreta gli sta molto più a cuore e, per tale motivo, affida a Leonardo il compito di recuperare un documento. In questo viaggio il lettore accompagna Leonardo e Lisandro tra le città più importanti dell’epoca, nelle quali, tra enigmi e simbolismi, ritroviamo i più grandi artisti, da Mantegna a Piero della Francesca, a Giovanni Bellini, e i grandi capolavori della loro Arte. Un percorso che porterà i due protagonisti a scoprire potenti segreti che potrebbero mettere a repentaglio i precari equilibri politici dell’Italia del primo Rinascimento.

Tra libri proibiti e giochi di potere, ci imbattiamo in un Leonardo molto diverso da quello al quale siamo abituati: sconosciuto, giovane, agli inizi della sua carriera artistica, moralmente abbattuto per una denuncia che lo aveva accusato di sodomia. L’autrice, infatti, parte da questo momento storico della vita di Leonardo per architettare una trama molto interessante e originale che ci racconta alcuni lati meno conosciuti del grande genio fiorentino, come la passione per la musica. Ci restituisce, così, il ritratto di un uomo, oltre che di un artista. Il lettore ha, quindi, la possibilità di approcciarsi ad un Leonardo acuto, colto, ricco di genio, ma anche tormentato, confuso, smarrito, indeciso sul suo destino e turbato dai propri sensi: un affresco dell’intimità dell’animo di questo grande artista; un’immagine che ci accompagna e ci mostra sotto una luce diversa anche alcune opere minori del genio.

La trama avvincente, che induce il lettore a procedere senza respiro tra le pagine, si divide tra la ricerca di quanto richiesto dal Magnifico e il viaggio introspettivo nell’animo di Leonardo, in una spirale di Storia e immaginazione che avvolge il racconto, permeandolo di verosimiglianza. È, infatti, interessante come l’autrice abbia elaborato l’intreccio in modo da far combaciare quanto prodotto dalla propria fantasia con alcuni aspetti della personalità di Leonardo, come, ad esempio, il fatto che fosse vegetariano.

Il punto di forza di questo romanzo, oltre alla grande preparazione accademica, sono i dialoghi, vividi e potenti, che riescono a trascinare il lettore nel tempo in cui si svolge la vicenda e che sono in grado di conferire straordinario realismo ai personaggi. Infatti, la caratterizzazione dei personaggi è nitida e puntuale, soprattutto grazie alle battute che fanno emergere luci e ombre di ognuno di loro. In particolare, la figura di Leonardo è ricostruita a 360 gradi e ci viene restituita nella sua totalità e profondità. La narrazione è piacevolmente fluida e lo stile poetico dell’autrice è ipnotico. È, inoltre, lodevole la tecnica raffinata attraverso la quale l’autrice incastra nella narrazione tasselli e dettagli storici, come, ad esempio, il rapporto tra Medici e Sforza. Le scene sono scandite da un ritmo e da un’impostazione tale da ingenerare nel lettore la sensazione di trovarsi all’angolo di ognuna di esse a sbirciare e origliare.

Leonardo da Vinci. Il mistero di un genio” è un romanzo coinvolgente, dalla trama originale, che ha il grande pregio di mostrarci il lato intimo, sconosciuto e molto verosimile, di un impareggiabile artista che, fino ad ora, abbiamo conosciuto soltanto per il suo incommensurabile genio.

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Leonardo e la morte della Gioconda

Milano, 1496. Leonardo da Vinci e il suo discepolo Salaì si ritrovano ad indagare sul misterioso avvelenamento di Bianca Giovanna Sforza, la figlia del duca di Milano, Ludovico il Moro. Qualche anno più tardi, nel 1516, Leonardo e un altro suo allievo, Francesco Melzi, partono alla volta di Amboise, alla corte del re di Francia, Francesco I, dove troveranno un altro mistero da risolvere che affonda le radici nel passato soggiorno a Milano. Due vicende raccontate in due manoscritti; due storie legate tra loro. 

Questa è la trama di “Leonardo e la morte della Gioconda”, scritto da G.P. Rossi ed edito dalla casa editrice Diarkos. Con una trama interessante, l’autore unisce alcune teorie storiche alla sua immaginazione, creando una storia appassionante che si snoda tra Milano ed Amboise. Troviamo, infatti, il genio fiorentino in due diversi periodi della sua vita. Nella prima parte, assistiamo alla vicenda che si svolge alla corte del duca di Milano, dove Leonardo arrivò nel 1482, su commissione di Lorenzo de’ Medici, e dove restò fino al 1499, quando l’arrivo dell’esercito francese lo costrinse alla fuga. Nella seconda metà del romanzo, invece, ritroviamo un Leonardo più maturo, ormai sessantacinquenne, alla corte del re di Francia, Francesco I, dove terminerà la propria esistenza, nel 1519. 

La narrazione scorrevole, caratterizzata dal punto di vista soggettivo dei due allievi, Salaì e Melzi, fa di questo romanzo un libro di rapida lettura. La caratterizzazione dei personaggi è ben delineata, tanto da far emergere le principali caratteristiche dei protagonisti. Ad un Leonardo finemente intelligente, arguto, padrone di sé, capace di estraniarsi dal mondo per osservarne soltanto una parte, si contrappone il Salaì, disonesto, arrogante con tutti tranne che con il suo maestro, avido di denaro, ma poco scaltro. L’altro allievo Francesco Melzi, docile e dolce, si scontra, invece, con un Leonardo invecchiato, stanco, irascibile e schivo. 

Risulta, inoltre, apprezzabile l’approccio al rapporto tra Leonardo e i suoi allievi, grazie al quale pare di cogliere frammenti della quotidianità del grande genio; in questo romanzo, egli viene, infatti, mondato dall’aura dell’artista e reso più vicino al lettore e più umanizzato. Vi è da sottolineare come le tesi sottese alla vicenda non siano frutto esclusivo della fantasia dell’autore, ma abbiamo un fondamento storico. L’ambientazione è essenziale, ma sufficiente a far percepire al lettore l’atmosfera della Milano di fine Quattrocento, con i suoi sestieri e le sue tipicità. 

    “Leonardo e la morte della Gioconda” è un romanzo leggero, agile e appassionante che, nonostante la sua natura di fiction storica, permette di cogliere alcuni intriganti aspetti della vita del più grande genio di tutti i tempi, che si snoda tra verità e leggenda. 

recensione

I guardiani della laguna

Quella degli Angeli Neri era una missione. Venezia moriva, ma poteva risorgere. E se ciò fosse accaduto, parte del merito sarebbe stato dei suoi invisibili custodi. Era questo che il Leone aveva insegnato a tutti loro”.

Venezia, 1753. Durante il Carnevale, due persone vengono uccise nel teatro Sant’Angelo. Marco Leon, braccio destro dell’Inquisizione, viene incaricato di indagare sul duplice omicidio. Ma quella che appare come l’indagine su un omicidio ordinario si trasforma in un intrigo internazionale. 

Questa è la trama de “I guardiani della Laguna” di Paolo Lanzotti, edito dalla casa editrice Tre60.

Lo sfondo è quello della Venezia di metà Settecento, ormai lontana dai fasti dell’apice e vicina al suo epilogo. Quella in cui i teatri e i caffè erano meta preferita di ogni cittadino, nobile, borghese o popolano; la Venezia “libertina” in cui la dedizione al piacere superava l’ottemperanza del dovere; la città in cui il sospetto regnava sovrano e nessun veneziano poteva mai dirsi al sicuro. Mancano poco più di quarant’anni al momento in cui la Serenissima Repubblica di Venezia vedrà calare il sipario sulla sua lunga vita per mano di Napoleone e, in questa metà del secolo, vede già il suo lento ma inesorabile declino.

Una Venezia che, in questo romanzo, viene dipinta con straordinaria intensità e realismo. L’ambientazione, infatti, è ricostruita con cura, permettendo di respirare l’atmosfera della Venezia di quel periodo, in uno dei suoi momenti emblematici come il Carnevale; una caratteristica che denota la grande conoscenza della Storia di Venezia da parte dell’autore. “I guardiani della laguna” ci dona uno spaccato della società del tempo, mettendone in evidenza peccati e virtù; ci porta nei salotti e nei teatri, passando per postriboli e locande, sale da gioco e caffè, presentandoci le figure più illustri, tra il tintinnare di bicchieri e il fruscio dei ventagli e delle gonne; ci permette di origliare le conversazioni di dame e signori, che mascherati sfilano sfrontati davanti ai nostri occhi.

Un romanzo totalmente immersivo, soprattutto grazie ad una particolare articolazione dell’ambientazione, nella quale sono inseriti voci e suoni che circondano i personaggi e che trascinano il lettore sul palcoscenico di questo romanzo, donando una panoramica a 360 gradi delle scene. Tra le sue pagine, pare di scorgere piazza San Marco in pieno Settecento, con i suoi caffè e le maschere che affollano la piazza nel pieno del Carnevale, sembra di sentire le urla dei giocatori nei ridotti. Il lettore riesce, con facilità, a immergersi completamente nella trama, tanto da diventarne invisibile protagonista. Questo romanzo rappresenta un vero e proprio giro per la Venezia di quell’epoca, una passeggiata nella quale la città è protagonista, dove ci si perde tra calli e campi, taverne e teatri, ridotti e sale del potere. Si ha l’impressione di camminare letteralmente per la città, con una lanterna in mano, nel buio della notte, incrociando il passo di dame, nobili, cicisbei, borghesi, prostitute, spie e confidenti, che affollavano strade e teatri in quella Venezia sulla via del tramonto. Inoltre, l’autore riesce a ricostruire il complesso meccanismo di vita e amministrazione della Serenissima; in particolar modo, attraverso il ruolo degli Angeli Neri che, pur essendo un’invenzione letteraria, permette al lettore di comprendere l’effettiva efficienza della rete di spie di Venezia.

La caratterizzazione dei personaggi è minuziosa, grazie ad ampie descrizioni. In particolare, risulta ben delineata la figura del protagonista, lo schivo Marco Leon, responsabile degli Angeli Neri (braccio segreto degli Inquisitori di Stato inventato dall’autore), dall’acume degno di Sherlock Holmes. Un uomo astuto, devoto alla Repubblica, un personaggio affascinante, caratterizzato dall’intelligenza acuta, l’animo tormentato e l’estrema dedizione al dovere.

La trama brillante, avvincente e appassionante, intrisa di Venezia, tra nobiltà, spionaggio internazionale, onore e giustizia, possiede tutti gli ingredienti per un giallo storico perfetto. Articolata in due indagini parallele, è un dosato intreccio di azione e riflessione che risulta particolarmente gradevole. L’autore, inoltre, è riuscito a coniugare la suspense e l’adrenalina del giallo con il fascino dell’ambientazione storica, tra interrogatori, inseguimenti in gondola, agguati, spie e informatori. 

La narrazione fluida, nella quale i dialoghi incalzanti si alternano a suggestive descrizioni, ne fa un romanzo che scorre piacevolmente, come un lungo sorso d’acqua. A tratti riflessiva, ma per lo più scattante, invita a procedere nella lettura senza particolare sforzo. Lo stile ricercato, ma mai pesante, utilizza tutti e cinque i sensi per trasportare il lettore all’interno della vicenda, facendo della lettura un’esperienza tridimensionale. “Sentendo il bisogno di riscaldarsi, raggiunse una taverna ed entrò. Lo accolsero il vociare degli avventori, il fuoco del caminetto e un odore intenso di tabacco, sudore e pesce alla brace. Si accostò al bancone e ordinò del vino caldo.“. 

I guardiani della laguna” è il romanzo perfetto per tutti gli appassionati della Serenissima, che l’autore riesce a far rivivere in modo strabiliante, attraverso ogni minimo e attento dettaglio. Una storia da leggere di notte, al lume d’una candela, per aumentarne il grado di suggestione; il libro ideale per chiunque voglia vivere e respirare Venezia! 

recensione, Romanzo storico

I Cavalieri di San Marco

“Ostacolate questa missione e dovrete vivere su una barca da pesca in Islanda, perché ve lo giuro su Dio Onnipotente avrete una galera battente bandiera Serenissima alla calcagna con i cannoni spianati ogni santo giorno che Dio vi vorrà concedere su questa terra”. 

Venezia, 1539. Giacomo Rinaldi, detto Zuan, e Marcantonio Barbaro, figlio di Pietro Barbaro, membro del Consiglio dei X, vengono incaricati dalla Serenissima di portare a termine una delicata missione in nome della Repubblica: salvare Venezia dal nemico turco, nella persona dell’ammiraglio Hajji Piri. La loro destinazione è Alessandria d’Egitto, ma ciò che minaccia la Regina dei Mari non sono le galere di Piri, ma un segreto custodito nelle pieghe del tempo; un segreto che riguarda quanto di più caro ha Venezia, la base sulla quale ha costruito il suo immenso impero. 

Questa è la trama de “I Cavalieri di San Marco”, scritto da Andrea Zanetti ed edito da Piazza Editore, terzo capitolo della trilogia “Sulle ali del Leone”, anche se temporalmente si colloca dopo il primo.  

Sullo sfondo della Venezia di metà Cinquecento in difficoltà, schiacciata tra le grandi potenze dell’Impero Ottomano a est e l’impero spagnolo tutt’intorno, si svolge la vicenda che vede protagonisti un personaggio di fantasia, il corsaro Giacomo Rinaldi (protagonista anche degli altri due capitoli della saga), ed uno storico, il diplomatico Marcantonio Barbaro, alla sua prima missione per conto della Serenissima. Il primo è un pirata di lunga carriera, marinaio esperto, il secondo è, invece, un ricco membro del patriziato veneziano, non avvezzo alla vita in mare. Due figure per alcuni versi agli opposti, ma indiscutibilmente complementari.

In questo romanzo, in cui eventi e personaggi storici sono magistralmente amalgamati a figure e accadimenti frutto della fantasia dell’autore, il lettore si perde tra corsari, spie, segreti e scontri all’ultimo sangue, in un misto di Storia e avventura che riesce a catturare l’attenzione dalla prima all’ultima riga. Un racconto che riesce a rimandare l’immagine della potenza di Venezia, nonostante sia collocata in un periodo nel quale l’importanza marittima e militare della città era già in declino. 

Grande qualità di questo romanzo è rappresentata dai dialoghi, dotati di una forza tale da elevare il grado di suggestione percepito dal lettore. Eccezionale la capacità descrittiva che riesce a far rivivere le scene e i luoghi davanti agli occhi del lettore. Inoltre, la narrazione è scandita da tempi precisi e studiati con cura, capaci di suscitare nel lettore le più svariate emozioni. 

La caratterizzazione dei personaggi è attenta e ben riuscita, quasi chirurgica, grazie all’utilizzo di descrizioni concise ma molto efficaci. Il contesto storico è ricreato con precisione, in modo da permettere al lettore di comprendere le dinamiche che fanno da sfondo alla trama, senza tuttavia appesantire il racconto. Inoltre, il ritmo serrato e incalzante aumenta il coinvolgimento del lettore, “costringendolo” a divorare le pagine. 

La narrazione fluida e coinvolgente, caratterizzata dall’utilizzo di un linguaggio che riesce a richiamare la meraviglia di Venezia, e la trama avventurosa e affascinante rendono “I Cavalieri di San Marco” un romanzo da leggere tutto d’un fiato, ricco di immagini ammalianti, in cui lasciar disperdere l’immaginazione.  

L’autore dimostra, ancora una volta, l’innegabile dote di grande romanziere che gli ha permesso di raccontare con maestria una trama avvincente e intrigante, nella quale è facile perdersi e lasciarsi stupire. Si intuisce, altresì, il grande lavoro di studio dall’autore relativo al mondo nautico nel quale è immerso il racconto e che viene descritto, con padronanza, in maniera dettagliata e precisa. 

I Cavalieri di San Marco” è un romanzo oltremodo appassionante ed evocativo di tempi e mondi lontani; un’avventura della quale non si vorrebbe mai vedere la fine. Un consiglio: leggetelo all’aperto, in una tiepida giornata di sole e tutto ciò che scorre tra le sue pagine vi sembrerà prendere vita intorno a voi. E allora sentirete le grida degli uomini ai remi sulle galere, il vociare della gente a Rialto, percepirete il freddo nelle membra quando sarete al cospetto del Consiglio dei X e l’affanno durante le corse per sfuggire ai turchi. Questa è la magia de “I cavalieri di San Marco”. 

Medioevo

Tornei e giostre medievali

Riprendiamo il viaggio nel mondo della cavalleria medievale affrontando l’affascinante tema delle giostre e dei tornei, che popolano film e romanzi.

Non si conosce con esattezza la data in cui nacquero i tornei, ma si ritiene plausibile collocare la loro comparsa poco dopo l’anno Mille, in Francia. E la loro funzione era l’addestramento dei cavalieri all’equitazione e alla guerra. Infatti, il torneo metteva il cavaliere in una reale situazione di combattimento, di cui costituiva una prova generale, in quanto, prima del Duecento, esso non si differenziava molto dalla battaglia.

Ma partiamo dal termine torneo. Probabilmente, descrive il movimento fatto dai cavalieri dopo la carica per preparare la successiva, ma ricorda anche il loro girovagare da un luogo all’altro per parteciparvi. Ed erano, inizialmente, utilizzati come surrogato della guerra in un periodo nel quale il rafforzamento dell’autorità regale iniziò a limitare i conflitti locali e, di conseguenza, i profitti dei cavalieri.

Come si svolgevano? Il torneo non era uno scontro individuale, bensì collettivo; come la battaglia, opponeva due eserciti formati da cavalieri, pedoni, scudieri, arcieri e garzoni e l’area di gioco era grande e aperta e comprendeva campi, pascoli, boschi, praterie, villaggi ed anche una cittadina con la funzione di campo base. Questa riunione durava parecchi giorni, ognuno con una funzione precisa. Il primo giorno serviva per i preparativi e per la formazione dei gruppi; il secondo era caratterizzato da piccole sfide individuali, nelle quali i giovani provocavano gli avversari, incitandoli ad avvicinarsi per combattere. Successivamente, veniva il turno della mischia, composta da diverse fasi: assedio, assalti, sortite, imboscate, attacchi frontali e fughe simulate. Pertanto, era molto simile alla guerra, ma con regole differenti. Infatti, nel caso del torneo, il fine non era uccidere, ma vincere, catturare e conquistare e i cavalieri avevano il compito di disperdere gli squadroni avversari per isolare qualche elemento, rendendolo facile da catturare.

Ciò avveniva quando un cavaliere afferrava il cavallo dell’avversario per il morso o agguantava il soldato per la vita trascinandolo verso le proprie linee. Infatti, in ogni campo, erano presenti i ricetti, ossia zone di ripiegamento dove era possibile trovare rifugio, curare le ferite, riprendere le forze, rifornirsi di armi e cavalli e depositare il bottino conquistato, consistente in armi, cavalli e uomini catturati sul campo; bottino che veniva spartito al termine del torneo.

La collettività del combattimento serviva a rafforzare la coesione degli squadroni, in quanto le prodezze individuali esponevano i cavalieri al maggior rischio di essere catturati. Tuttavia, i gesti individuali erano spesso determinanti, tanto che i migliori cavalieri erano contesi dalle varie squadre, proprio come accade nel calcio moderno.

Nei tornei più antichi, il pubblico era poco presente e assisteva al gioco, solitamente, dall’alto delle torri. Nel XII secolo, però, si trasformarono in eventi mondani e iniziò a dilagare la figura del menestrello, che cantava le prodezze dei cavalieri e che diventò uno specialista indispensabile. Infatti, essi conoscevano i cavalieri e sapevano distinguerli dalle sole insegne, che iniziarono a svilupparsi, li annunciavano e ne tributavano le lodi. Successivamente, si trasformarono in araldi d’armi, formando una corporazione, esperti in combattimenti, vita militare, armature, armi e usi cavallereschi, con il compito di dirimere le controversie, dettare le regole di giostre e tornei e designare i vincitori.

I tornei erano molto importanti perché permettevano ai signori di sperimentare nuove tattiche e ai cavalieri di consolidare la coesione collettiva e le tecniche personali. Inoltre, potevano aumentare il prestigio dei signori, attraverso il reclutamento dei combattenti migliori, tanto che dal XII secolo, il reclutamento divenne materia di contratti con i quali un cavaliere poteva essere ingaggiato per un torneo di prova, per molti tornei, per una stagione, per molti anni o anche a vita, entrando così nella casa del signore e garantendosi un impiego duraturo, anche in tempo di pace. A questi contratti aspiravano soprattutto i cavalieri più modesti che gareggiavano con grande impegno per attirare l’attenzione dei signori.

Un’altra opportunità era legata ai tornei organizzati dai grandi signori con il fine di trovare uno sposo per la propria figlia. In queste occasioni, i cavalieri modesti ma valorosi potevano beneficiare di un’ascesa sociale e di una promozione economica.

Inoltre, i tornei permettevano di vivere di spada anche in assenza di guerre. Infatti, se è vero che i vinti potevano perdere cavallo, armatura e prezzo del riscatto, indebitarsi a vita e, se non avevano i mezzi per riscattarsi o per sostituire gli strumenti di lavoro, perdere lo status di cavalieri, i vincitori potevano elevarsi, crearsi una carriera e arricchirsi. Bisogna, infatti, ricordare che i vincitori guadagnavano tutta l’attrezzatura dell’avversario, nonché il prezzo del riscatto dello stesso. In alcune e ben ponderate occasioni, però, alcuni cavalieri rinunciavano al denaro liberando gratuitamente l’avversario, in quanto simili gesti procuravano gloria, attiravano conoscenze e consolidavano la reputazione.

All’inizio del Duecento, l’addestramento dei cavalieri mutò e il torneo divenne meno professionale e più mondano, anche a causa dell’influenza romanzesca dei poeti di corte, che iniziarono a diffondere l’ideologia cavalleresca. Infatti, per la preparazione si ricorse all’esercizio specifico della quintana, consistente in un palo fisso che sostiene un braccio orizzontale al quale, ad una estremità, era situato un bersaglio da colpire (piccolo scudo), mentre all’altra era posta una mazza: il cavaliere doveva colpire con l’arma lo scudo ed evitare il colpo di ritorno della mazza.

Le grandi mischie collettive, quindi, si eclissarono a favore della giostra, ossia la sfida individuale, codificata e gratuita a noi più conosciuta, nella quale i cavalieri combattevano spesso solo con la lancia, che divenne sempre più lunga e pesante, con lo scopo di disarcionare l’avversario.

Da questo momento, lo spirito di casta dei cavalieri si consolidò, anche a causa dello sviluppo dell’araldica, chiudendosi ai non nobili: per partecipare a giostre e tornei, i cavalieri dovevano avere quattro quarti di nobiltà delle linee paterne e materne.

Dopo aver affrontato questo breve viaggio nel mondo dei tornei, possiamo affermare che quelli ai quali ci ha abituato il cinema corrispondono, seppur prendendo a prestito aspetti di epoche diverse, alle giostre di Tre-Quattrocento; i tornei di XI, XII e XIII secolo erano ben differenti.