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Un tuffo negli anni ’60

io che amo solo te
io mi fermero’
e ti regalero’
quel che resta della mia gioventù

San Benedetto del Tronto, estate 1962.
L’estate, si sa, è la stagione degli amori nati sulle spiagge, in riva al mare, al chiaro di luna.
Lo sanno bene anche Gisella e Camilla due sorelle che, nel pieno dell’adolescenza, hanno diciotto e sedici anni e sognano una stagione piena d’amore.
Le due ragazze, impegnate nella gestione della pensione Sole e Mare insieme ai genitori e alla sorellina Roberta di quattro anni, si districano tra richieste di permessi per uscire, serate nei cinema all’aperto e problemi di cuore.
La più grande è sicura di sé, estroversa e molto apprezzata dai ragazzi, Camilla invece è timida ed insicura.
Camilla è innamorata da sempre di Rodolfo, mentre Gisella è alla ricerca del ragazzo che riuscirà a farle dimenticare il suo ex Lele, che l’anno precedente le ha spezzato il cuore, tornando nella lontana Milano. 
Ci penserà il più bel bagnino di San Benedetto ad  offuscare nel cuore di Gisella l’immagine dell’ex fidanzato.
Ma questa nuova storia reggerà anche al ritorno di Lele?
Tra concerti di Mina e Peppino di Capri, serate sotto le stelle e il ritmo del twist, si svolge il romantico racconto  di un’estate dei mitici anni ’60 di due sorelle molto diverse tra loro, alle prese con i primi sentimenti e le prime emozioni, nel libro di Francesca Baldacci, “Remember Tiffany“, edito da Literary Romance.
L’insicurezza e l’incertezza dei primi batticuore è il tema principale di questa fresca storia estiva, che porta alla mente del lettore la spensieratezza dell’adolescenza e l’allegria delle vacanze, ma che ricorda anche i piccoli grandi problemi di quell’età irripetibile e ricca di sogni.
Protagoniste e personaggi che sembrano usciti da un film in bianco e nero, accompagnati da una colonna sonora formata dalle dolci e malinconiche ballate tipiche di quegli anni, come Moon River, ma anche dagli scatenati twist.
Un racconto piacevole, leggero e scorrevole che ci trascina indietro nel tempo, in un’epoca di cambiamento, in cui i giovani iniziavano a scoprire sé stessi guardando con fiducia al futuro; un’epoca in cui tutto sembrava possibile e la gioia delle piccole cose era capace di stupire ogni cuore.

 

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DONNE IN PILLOLE: ROSA VERCELLANA

Nell’appuntamento di questa settimana della rubrica Donne in Pillole, vi parlo di ROSA VERCELLANA, la Bella Rosin, che fu l’amante e poi la moglie morganatica (ossia un matrimonio tra persone di diverso rango sociale, che impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito) del re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia.

Siamo nella prima metà dell’800.
Rosa nacque nel 1833 da Giovanni Vercellana, granatiere dell’esercito di Carlo Alberto, in seguito direttore del presidio militare bella tenuta di caccia del castello di Racconigi (CN).
All’età di 14 anni, la Bella Rosin incontrò per la prima volta il ventisettenne principe ereditario Vittorio Emanuele II di Savoia e tra loro iniziò una storia clandestina.
Vittorio Emanuele, infatti,  era già sposato con la  cugina Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena e aveva molte amanti.
Da quel momento, però, Rosa riuscì sempre a trionfare su tutte le rivali e a tenere per sé il cuore del suo Re; era da lei che ritornava sempre.
La ragazza venne ospitata in una villa nei pressi del Castello di Moncalieri, vicino a Torino.
Rosa non era nobile, era molto più giovane del futuro re d’Italia, inoltre era analfabeta e la loro relazione suscitò scandalo e ostilità a corte.
Tanto malvista da indurre Camillo Benso Conte di Cavour a  carcare, senza riuscirvi, di separare con ogni mezzo i due, anche con la calunnia, arrivando a dire che Rosa tradiva il re.
Eppure, Vittorio Emanuele continuò ad amarla ed ebbero tre figli.
Nel 1855 morì la regina legittima e iniziarono le manovre per dargli una nuova moglie degna del suo rango. Ma il re fu irremovibile: non avrebbe sposato nessuna al di fuori della sua Rosin.
Per risollevarla dagli umili natali, Vittorio Emanuele le conferí il titolo di Duchessa, ma le residenze ufficiali del re le furono sempre precluse.
Rosa, però, seppe organizzare il suo regno nelle eleganti ville in cui Vittorio si rifugiava.
Il 7 novembre 1869 Vittorio Emanuele e Rosa si sposarono, ma né lei né i suoi figli avrebbero mai potuto reclamare diritti sulla successione al trono.
Trascorsero la loro vita sempre uniti, inseparabili fin quando la morte del re, nel 1878, sciolse quell’unione tanto voluta, desiderata e combattuta.

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La signora dei Baci

Una donna per essere rispettata deve lavorare molto più di un uomo, senza risparmiarsi e senza commettere errori, perché anche solo un  errore la marchierebbe a vita!
Questa era la filosofia agli inizi del XX secolo, quando Luisa Spagnoli fu così tenace da aprire la propria attività commerciale, una confetteria nel centro di Perugia, nel 1902.
Nonostante la legge avversa all’imprenditoria femminile e con le stesse preoccupazioni e recriminazioni che attanagliano la mente e il cuore delle donne lavoratrici di oggi,  Luisa riuscì a dare vita ad un’impresa che vive tuttora e che è diventata una delle più importanti realtà imprenditoriali del nostro Paese.
Maria Letizia Putti ci guida attraverso un magnifico salto nel tempo, agli inizi del ‘900, nella biografia romanzata “Luisa Spagnoli. La signora dei Baci”, edito da Graphofeel.
Dalla penna dell’autrice emerge il ritratto di una donna straordinaria, lavoratrice instancabile, lungimirante e caparbia che ha avuto il coraggio e la determinazione di sfidare un mondo fatto per gli uomini, che relegava la donna al ruolo di moglie e madre.
Nata Luisa Sergentini, orfana di padre dall’età di un anno, le difficoltà economiche della famiglia, la costrinsero ad abbandonare gli studi all’età di tredici anni e ad affrontare il suo primo lavoro come apprendista in una sartoria, in un momento storico in cui gli atelier di moda erano diventati i salotti dell’alta borghesia. In questo luogo, Luisa maturò il forte senso di indipendenza e di emancipazione che la contraddistinsero per tutta la vita.
L’incontro con Annibale Spagnoli, che la chiese in sposa, segnò il passaggio all’età adulta e condusse la giovane nella lontana Mantova, dove iniziò a comprendere che il matrimonio non era l’isola felice che aveva immaginato. Un matrimonio che, nemmeno con la nascita dei tre figli, riuscì a diventare vero amore.
Trovò lo scopo della sua vita nell’attività che aprì una volta tornata a Perugia, la confetteria che  successivamente prese il nome di Società Perugina per la Fabbricazione dei Confetti, della quale Luisa fu cuore e motore e che portò avanti con determinazione, caparbietà e tenacia.
Nonostante i lutti che la colpirono e il senso di colpa nei confronti dei figli che non aveva visto crescere, in quanto il suo tempo era completamente dedicato al proprio lavoro, Luisa non si lasciò mai abbattere e profuse tutte le proprie energie nell’azienda.
Fu proprio il lavoro che le permise di incontrare il vero amore nel giovane Giovanni Buitoni, per il quale si spinse fino a separarsi dal marito, un gesto forte che precorreva i tempi.
Luisa fu la prima donna di comando nel panorama industriale italiano e fu pioniera del moderno welfare aziendale, in quanto istituì una serie di agevolazioni per i propri dipendenti, come l’asilo e la mensa; era infatti molto attenta alle esigenze dei dipendenti ed in particolare ai bisogni delle donne e, per questo, era molto amata e rispettata.
Il suo intuito e il suo talento permisero alla Perugina di prosperare anche durante la Prima Guerra Mondiale, grazie al cioccolato, che ne divenne la principale lavorazione. 
Luisa aveva una mente fervente che, alle soglie dei 50 anni, le permise di iniziare una seconda attività, la tessitura Spagnoli, specializzata nella lavorazione della lana d’angora, con la quale venivano prodotti capi d’abbigliamento alla moda.
L’autrice è stata abile nel riportare in vita Luisa Spagnoli e di mostrarla al lettore in tutta la sua personalità, evidenziandone forza e debolezza. Un modello di donna intraprendente e determinata, straordinariamente moderna; un esempio di grande caparbietà, che sfidando la mentalità dell’epoca, è riuscita a raggiungere tutti i suoi obiettivi.
“Luisa Spagnoli. La signora dei Baci” è un libro molto evocativo, intrigante e appassionante. Grazie a descrizioni precise e coinvolgenti, l’autrice restituisce l’affresco dell’Italia all’inizio del ‘900 e accompagna il lettore nella scoperta della nascita di uno dei colossi industriali del nostro paese. Una lettura intensa, suggestiva e oltremodo piacevole.
Un viaggio affascinante nella vita di una grande donna italiana che ha saputo combattere per il proprio sogno, dimostrando di essere, in un mondo maschilista, una donna forte e capace più di un uomo. 

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DONNE IN PILLOLE: CATERINA DE’ MEDICI

Terzo appuntamento con la rubrica DONNE IN PILLOLE.
Questa settimana, la protagonista è la più famosa pronipote di Lorenzo il Magnifico, CATERINA DE’ MEDICI. Ma il racconto della sua vita non si svolge a Firenze, bensì a Parigi, perché Caterina regnò sulla Francia per ben 30 anni.
Figlia di Lorenzo Duca d’Urbino, nipote del Magnifico, e Maddalena de la Tour d’Auvergne, Caterina, all’atà di 14 anni, venne mandata in Francia come promessa sposa di Enrico di Valois, secondogenito di Francesco I, proprio quando sul soglio di Pietro sedeva suo zio Clemente VII.
Caterina, innamorata del suo Enrico, dovette però sopportare, per tutta la durata del suo matrimonio lungo 26 anni, l’ingombrante presenza dell’amante di Enrico, la bellissima Diana di Poitiers, che ebbe un grande ascendente sul re. Sulla rivale, Caterina si prese la rivincita richiedendo, alla morte di Enrico, la restituzione di tutti i doni fatti dal re alla sua favorita.
Enrico, infatti, pur non essendo destinato al trono, divenne re di Francia a causa della prematura scomparsa del delfino Francesco, per la quale l’ombra del sospetto dell’omicidio ricadde sulla giovane Caterina.
La coppia, nonostante la presenza della favorita del re, ebbe molti figli. Enrico II, però, morì all’età di 40 anni per le ferite riportate in un torneo, lasciando il regno nelle mani del figlio quindicenne Francesco II, facendo di Caterina la sovrana reggente.
Diventò assoluta regina di Francia all’età di 41 anni, quando il figlio Francesco morì, e vi restò fino a quando il suo terzogenito successe al fratello come Enrico III.
Il suo regno vide lo svilupparsi delle guerre di religione e la tradizione popolare tramandò una memoria distorta della regina, che viene ricordata come spietata, macchiavellica e despota. In realtà, la Medici fu vittima di molti libelli denigratori, basati soprattutto sul fatto che fosse una straniera.
Durante la reggenza, Caterina si batté con e contro tutti per mantenere la pace e per concentrare il potere nelle sole mani del re. E lo fece cercando di mantenere l’equidistanza tra le diverse fazioni, che la portò a vivere nell’ossessione dei complotti.
La mancanza, però, di eredi maschi da parte dei suoi figli distrusse l’obiettivo perseguito per tutta la vita: la sopravvivenza dei Valois, la cui dinastia terminerà con la morte di Enrico III.
Caterina morirà all’età di 70 anni, con la consapevolezza di non aver raggiunto l’unico scopo della sua reggenza.

Romanzo storico

Sigismondo e Isotta

Nel romanzo “Sigismondo e Isotta” di Maria Cristina Maselli, edito da Piemme, ambientato nel ‘400, si celebra il vero amore tra il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Isotta degli Atti.
Un  sentimento più unico che raro in un’epoca nella quale i matrimoni venivano combinati per fini politici e di convenienza e l’amore non era contemplato.
Isotta, figlia di Francesco degli Atti, piccolo nobile al servizio della signoria, è cresciuta nel mito del Malatesta grazie ai racconti del padre e da sempre ne è innamorata. All’età di quattordici anni viene notata dal suo Signore, il forte e fiero capitano di ventura Sigismondo, che se ne innamora perdutamente, nonostante il suo matrimonio con Polissena Sforza, figlia del Duca di Milano, Francesco Sforza. Quando l’amore si affaccia al cuore di Sigismondo, egli sa che non potrà mai fare della bella Isotta la sua legittima consorte, ma può soltanto concederle il ruolo di concubina, che ella accetta pur di vivere l’amore con il suo Signore.
Un romanzo storico in piena regola, che ambienta perfettamente la storia di Sigismondo e Isotta  nell’esatto contesto storico, nel quale viene ben delineata la professione del condottiero e l’instabilità politica del Rinascimento.
La Maselli ci restituisce il ritratto di uomo innamorato, ma al contempo costretto dalla ragion di stato a mantenere il vincolo coniugale con una donna che non ama e fa risaltare il contrasto tra le due protagoniste femminili. Si scontrano, infatti, i tormenti di  Polissena e Isotta. La legittima moglie del Malatesta, privata dell’amore e del rispetto del marito, fu costretta a subire lo scherno del popolo e l’umiliazione pubblica della propria persona; Isotta, seppur amata e adorata da Sigismondo, soffrì la sua condizione di amante e il mancato riconoscimento pubblico dei sentimenti del Signore di Rimini, nonostante egli fu autore di diversi gesti che resero inequivocabili il proprio interesse per la bella Isotta.
La storia, però, volle che Isotta provò gli stessi sentimenti di gelosia che avevano angustiato la precedente Signora di Rimini, quando, dopo qualche anno dalla morte della Sforza, Sigismondo la sposò.
Ciò nonostante, l’amore che legava i due rimase forte ed immutato nel tempo e si dimostrò indistruttibile anche quando una guerra contro Pio II causò la rovina del signore di Rimini.
Al fianco dei due protagonisti emergono due figure agli antipodi: Abio, storico consigliere del Malatesta, personaggio subdolo e ambiguo, dal comportamento oscuro, oltremodo geloso del suo Signore e Dorotea, fedele, lungimirante e affezionata dama di compagnia di Isotta.
Una storia intensa che, grazie alla narrazione scorrevole e fluida, rapisce il lettore dalla prima pagina e lo trasporta nel Rinascimento, dove avrà l’impressione di vivere quell’amore vero e indistruttibile che ha legato Isotta e Sigismondo.

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DONNE IN PILLOLE: MARIA TUDOR

Quando morirò e aprirete il mio corpo, troverete il nome di Calais inciso nel mio cuore” – Maria Tudor –

Eccoci al secondo appuntamento settimanale con la rubrica Donne in Pillole.


Oggi voglio raccontarvi di Maria Tudor, passata alla storia come Maria la Sanguinaria, la prima donna a indossare la corona inglese a pieni poteri.


Figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona, pur essendo l’unica erede legittima non fu cresciuta per diventare regina, anzi venne indotta ad annullare la propria personalità al fine di divenire una donna docile.
La sua educazione era, infatti, frutto della convinzione che le donne non fossero in grado di regnare, seppure non esistesse una legge che lo vietasse.
Trascorse un’infanzia difficile,  subendo subire la lotta tra i suoi genitori per il divorzio voluto da Enrico VIII e le successive angherie della secondo moglie del re, Anna Bolena.
La Bolena, infatti, odiava Maria e la costrinse ad ammettere di aver perso ogni  diritto, la fece diventare serva della sorella Elisabetta e le riservò ogni sorta di sopruso.
Soltanto grazie all’intervento dell’ultima moglie del padre, Caterina Parr, Maria riconquistò i suoi diritti di successione.
Nonostante il fratello Edoardo VI avesse emanato una legge con la quale la escludeva dalla successione al trono, Maria, appoggiata dal popolo che la considerava la legittima erede e da gran parte degli uomini politici del paese, fu incoronata regina d’Inghilterra all’età di 37 anno, ma priva di qualsiasi formazione politica e strategica.
Il suo governo, però, si tramutò in una continua repressione dei sudditi protestanti nel vano tentativo di restaurare il cattolicesimo; obiettivo che non raggiunse mai e che divenne il suo più grande rimpianto.
Sposa innamorata, ma non ricambiata, di Filippo d’Asburgo, Maria non riuscì mai a concepire un erede.
Fu odiata dal suo popolo per i roghi e per la perdita di Calais, ultima roccaforte sul continente.
Morì nel 1558, all’età di 42 anni, a causa di un tumore ovarico i cui sintomi l’avevano indotta, inizialmente, a credere di essere finalmente in attesa dell’erede tanto sospirato.
Nonostante fosse la figlia legittima di uno dei sovrani più potenti dell’Europa rinascimentale, la sua esistenza fu costellata di difficoltà e permeata di tristezza, in buona parte causate proprio dal padre che arrivò persino a rinnegarla.